A margine del recente Convegno sulla contraddizione nel pensiero di Leonardo Sciascia

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Un Convegno che si è tenuto nel tardo   pomeriggio di ieri, nella stupenda Sala del Collare del Castello Chiaramontano di Favara di piazza Cavour, la principale del paese,  e sicuramente tra le più belle  della provincia, a due passi dal grande cupolone della maestosa Chiesa Madre  e del Palazzo di Città, sede dell’Amministrazione Comunale e quindi della “governance” cittadina.

Qualche osservazione magari un po’ stravagante, ma forse non troppo, sul modo come è stata letta e interpretata una delle fasi più famose dello scrittore racalmutese, che non pochi considerano “uno dei più  grandi scrittori del Novecento italiano”, e addirittura “il più lucido e severo intellettuale italiano della fine del XX secolo”, sempre dalla parte della democrazia, della libertà e della giustizia, che per lui rischiavano di essere ridotti a “puri nomi”.

Un’intuizione quest’ultima, che sembra profetica di quello che proprio in questi giorni  sembra  avvenire sotto gli occhi di tutti: cioè il pericolo di trovarsi, – come viene riferito dalla stampa – davanti ad un giudice che si arroga anche il diritto di essere pure un legislatore.

Singolare la capacità di Sciascia ad opporsi al conformismo, alle certezze accomodanti, a smascherare le imposture del Potere e le varie furbizie del trasformismo.

Il Convegno di Favara, organizzato da LiberArci, dal Centro Studi “Russello”,   dal liceo MLKing,  con il patrocinio del Comune di Favara, si è focalizzato su quella che lo stesso Sciascia considera la sua caratteristica più umana, cioè  la sua disponibilità – come egli stesso scrisse “a contraddire ma anche a contraddirsi”.

E questo  perché, mai Sciascia riusciva ad  assoggettarsi passivamente  al Potere, mantenendo sempre la lucida capacità di valutare le cose nella loro semplice evidenza,  libero da ogni forma, comunque camuffata,  di pregiudizio ideologico.

Sciascia  perciò  “si  è   contraddetto”. La contraddizione come situazione proprio esistenziale. In questa ottica bisogna leggere i suoi scritti.

Ed io recandomi a questo Convegno, strada facendo, pensavo anche alla mia esperienza personale;  mi veniva e mi viene difficile pensare che possa esistere una creatura umana capace di non contraddirsi ed anche  di contraddire.

Davvero quindi, una caratteristica proprio esistenziale; e mi veniva in mente quella frase comune, per indicare le cose proprio ovvie,   che  cioè    Sciascia “non aveva scoperto l’America”. Durante i lavori del Convegno,  è stato ricordato il momento quando Sciascia è rimasto sorpreso dalla sentenza di un giudice che di fronte allo stesso reato di due persone diverse, un contadino ed un parroco, lo stesso giudice ha sanzionato la mancanza in maniera diversa, cioè con una pena leggere il secondo ed una molto più pesante il primo, cioè il contadino. Al che anche in sala, ovviamente, la reazione generale   spontanea, senza spirito di alcuna riflessione,  spontaneamente   è stata quella facilmente immaginabile.

A me, successivamente, è venuto da pensare che si attuava proprio il pensiero di Sciascia sulla contraddizione. Perché, a riflettere meglio, una stessa situazione che induce un giudice ad assegnare una pena diversa, (dovendo – per principio, giuridico e  morale)   –   escludere la malafede del giudice, bisogna necessariamente ricorrere alla necessità di avere il coraggio di  sapersi contraddire, per restare in pace con la propria coscienza; che nel caso specifico significa che quel giudice avrà valutato delle circostanze attenuanti, che gli imponevano, in coscienza ed anche giuridicamente,   di assegnare una pena diversa.

Un altro episodio di rilievo  è stato richiamata nel Convegno, da parte di un giurista canicattinese, l’avv. Guadagnino,  presente ieri al Convegno, è stato il battibecco tra l’allora arciprete di Canicattì, mons. Vincenzo Restivo e lo scrittore Leonardo Sciascia, subito dopo la  pubblicazione  del suo saggio

sul Vescovo canicattinese Mons. Angelo Ficarra, da titolo “Dalla parte degli infedeli” , con la pubblicazione da parte di Sciascia, di documenti riservati, addirittura coperti – pare – da segreto pontificio.

La vicenda è nota !  Nella logica del “promoveatur ut amoveatur….(sia promosso perché sia rimosso)” il vescovo Ficara, grande figura di pastore dotto e santo, comunque giudicato debole come capacità di governo dal Vaticano, per essere esonerato dal governo della diocesi di Patti, fu promosso “arcivescovo di Leontopoli”.

Una diocesi antica quest’ultima, adesso inesistente, “in partibus infidelium”, cioè dalla parte degli infedeli.

Nella libera e pubblica discussione che si tenne allora a Canicattì, l’arciprete Restivo avanzò delle critiche allo scrittore; al che Sciascia, presente a quel dibattito sulla sua pubblicazione, in maniera decisa, chiese pubblicamente all’arciprete Restivo se Lui avesse osato pubblicare quei documenti.  Alla  risposta negativa, Sciascia subito di rimando: “ Io l’ho pubblicato proprio per questo”.

Mons. Vincenzo Restivo e Leonardo Sciascia due personalità forti e  di cultura,  con ruoli sociali assolutamente diversi; le loro risposte, assolutamente genuine e diverse sono in perfetta consonanza  con la loro diversa personalità ed il loro ruolo. Non avrebbero potuto essere diverse.

E nessuno dei due, in questo caso, – a me  pare – che davvero si sia contraddetto;  o, forse, non ha potuto e/o voluto contraddirsi, creando, nel caso fosse avvenuto, davvero grande ed inspiegabile  confusione.

 

10-11-2023

Diego Acquisto

 

 

 

 

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