Assemblea Pastorale in Cattedrale per il lavoro ecclesiale 2020-21 nel segno della speranza

Presentato il Piano Pastorale Diocesano 2020-21, con un forte invito ad essere pellegrini di speranza—E’ il pensiero della speranza è stato colto a Favara  da parte di qualche catechista da me interpellata proprio subito dopo la chiusura della trasmissione.  Che dalla Cattedrale di Agrigento ha visto l’arcivescovo metropolita card.  don Franco Montenegro con accanto il suo coadiutore don Alessandro Damiano, presiedere l’assemblea diocesana trasmessa in diretta streaming a causa del coronavirus.

La speranza: difficile per il resto fare una sintesi  dei tanti spunti  di riflessione che sono stati offerti e colti al volo dal computer;  dove  alcuni rumori di fondo  non mancavano,  anche durante la proclamazione del Vangelo dei discepoli di Emmaus, durante  i canti, le preghiere, le ammonizioni introduttive ai vari momenti.

Un’Assemblea  quella  della prima serata di oggi 19 novembre,  appositamente convocata come ogni anno per la presentazione del Piano  di lavoro e della Lettera pastorale.

Un’assemblea virtuale che è stata seguita oltre che da tanti fedeli dei  43  Comuni della nostra diocesi, molto probabilmente anche  da almeno una parte di quei non pochi agrigentini  che per motivi vari e soprattutto per lavoro si trovano fuori nelle  varie regioni d’Italia, soprattutto al Nord.

E premesso quanto sopra, mi viene subito da dire che certamente la cosa comunque più evidente che  è venuta fuori, (malgrado tutti gli encomiabili sforzi messi in atto dal punto di vista tecnico) la ben palpabile evidenza che si è notata rispetto agli  altri anni quando tutto si è svolto in presenza; e tanti messaggi passavano anche con un semplice sguardo, e poi magari in un momento di relax o durante l’uscita rivedendosi e stando qualche momento gomito a gomito, qualche battuta amichevole e magari riservata.

In questo clima virtuale, in cui anche chi scrive ha seguito dal computer i lavori,  è apparso davvero appropriato  il monito di don Giuseppe Agrò, vicario per la Pastorale che ha esordito col dire che “Mentre il mondo si ferma — non solo nei lockdown più o meno generali, ma nel  bisogno  ancora  più  profondo  di  dare  un  senso  a  tutto  ciò  che  sta avvenendo  —  anche  noi,  come  Chiesa  Diocesana,  sentiamo  l’esigenza  di rallentare il cammino previsto dal progetto ecclesiale a lungo termine”. E quindi una revisione anche delle tappe degli anni precedenti, “Ripensare  la  Comunità”, “Abitare  la  Comunità”,   per “Vivere   la   Comunitàche anzitutto deve essere amata, “perché   solo  amandola  sinceramente  possiamo ripensarla, abitarla e viverla”.  E pur con la necessaria flessibilità,  con fiducia e con speranza sostenerla.

Sostenere  la  Comunità”, ognuno con suoi doni, limiti e talenti, è proprio   il  tema  del  nuovo Piano  Pastorale 2020-2021, nella fiduciosa consapevolezza che “nessuno  è  così  forte  da  non  avere  bisogno  di  nulla , né  così  debole  da non avere nulla da dare”.

Un cammino comune da compiere in questo luogo dell’agrigentino e in questo tempo, come ha voluto sottolineare  don Franco, così come agli inizi fecero i primi cristiani, “tutti insieme” prima e ancora di più dopo la Pentecoste, “uniti anche con quanti erano venuti da lontano”.

Con l’audacia della speranza,  “mettendo da parte egoismi personali e rivalse sugli altri”.

Diego Acquisto

20-11-2020

N.B.— A proposito di SPERANZA ..… proposta dal nostro PPD  2020-21……..Ho ricevuto un gradito riscontro sul tema della speranza, che propongo alla rilfessione di tutti . Una pagina di un grande autore francese….Charles Péguy:  (da Il portico del mistero della seconda virtù)

(…)……..Si dimentica troppo, bambina mia, che la speranza è una virtù, che è una virtù teologale, e che di tutte le virtù, e delle tre virtù teologali, è forse quella più gradita a Dio.

Che è certamente la più difficile, che è forse l’unica difficile, e che probabilmente è la più gradita a Dio.

La fede va da sé. La fede cammina da sola. Per credere basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare. Per non credere bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Prendersi a rovescio, mettersi a rovescio, andare all’inverso. La fede è tutta naturale, tutta sciolta, tutta semplice, tutta quieta. Se ne viene pacifica. E se ne va tranquilla. È una brava donna che si conosce, una brava vecchia, una brava vecchia parrocchiana, una brava donna della parrocchia, una vecchia nonna, una brava parrocchiana. Ci racconta le storie del tempo antico, che sono accadute nel tempo antico. Per non credere, bambina mia, bisognerebbe tapparsi gli occhi e le orecchie. Per non vedere, per non credere.

La carità va purtroppo da sé. La carità cammina da sola. Per amare il proprio prossimo basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare una tal miseria. Per non amare il proprio prossimo bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Farsi male. Snaturarsi, prendersi a rovescio, mettersi a rovescio. Andare all’inverso. La carità è tutta naturale, tutta fresca, tutta semplice, tutta quieta. È il primo movimento del cuore. E il primo movimento quello buono. La carità è una madre e una sorella.

Per non amare il proprio prossimo, bambina mia, bisognerebbe tapparsi gli occhi e le orecchie.

Dinanzi a tanto grido di miseria.

Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola. Per sperare, bambina mia, bisogna esser molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia.

È la fede che è facile ed è non credere che sarebbe impossibile. È la carità che è facile ed è non amare che sarebbe impossibile. Ma è sperare che è difficile
(…)

E quel che è facile e istintivo è disperare ed è la grande tentazione.

La piccola speranza avanza fra le due sorelle maggiori e su di lei nessuno volge lo sguardo.

Sulla via della salvezza, sulla via carnale, sulla via accidentata della salvezza, sulla strada interminabile, sulla strada fra le sue due sorelle la piccola speranza.

Avanza.

Fra le due sorelle maggiori.

Quella che è sposata.

E quella che è madre.

E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle maggiori.

La prima e l’ultima.

Che badano alle cose più urgenti.

Al tempo presente.

All’attimo momentaneo che passa.

il popolo cristiano non vede che le due sorelle maggiori, non ha occhi che per le due sorelle maggiori.

Quella a destra e quella a sinistra.

E quasi non vede quella ch’è al centro.

La piccola, quella che va ancora a scuola.

E che cammina.

Persa fra le gonne delle sorelle.

E ama credere che sono le due grandi a portarsi dietro la piccola per mano.

Al centro.

Fra loro due.

Per farle fare questa strada accidentata della salvezza.

Ciechi che sono a non veder invece

Che è lei al centro a spinger le due sorelle maggiori.

E che senza di lei loro non sarebbero nulla.

Se non due donne avanti negli anni.

Due donne d’una certa età.

Sciupate dalla vita.

È lei, questa piccola, che spinge avanti ogni cosa.

Perché la Fede non vede se non ciò che è.

E lei, lei vede ciò che sarà.

La Carità non ama se non ciò che è.

E lei, lei ama ciò che sarà.

La Fede vede ciò che è.

Nel Tempo e nell’Eternità.

La Speranza vede ciò che sarà.

Nel tempo e per l’eternità.

Per così dire nel futuro della stessa eternità.

La Carità ama ciò che è.

Nel Tempo e nell’Eternità.

Dio e il prossimo.

Così come la Fede vede.

Dio e la creazione.

Ma la Speranza ama ciò che sarà.

Nel tempo e per l’eternità.

Per così dire nel futuro dell’eternità.

La Speranza vede quel che non è ancora e che sarà.

Ama quel che non è ancora e che sarà.

Nel futuro del tempo e dell’eternità.

Sul sentiero in salita, sabbioso, disagevole.
Sulla strada in salita.

Trascinata, aggrappata alle braccia delle due sorelle maggiori,

Che la tengono per mano,

La piccola speranza.

Avanza.

E in mezzo alle due sorelle maggiori sembra lasciarsi tirare.

Come una bambina che non abbia la forza di camminare.

E venga trascinata su questa strada contro la sua volontà.

Mentre è lei a far camminar le altre due.

E a trascinarle,

E a far camminare tutti quanti,

E a trascinarli.

Perché si lavora sempre solo per i bambini.

E le due grandi camminano solo per la piccola.

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Charles Péguy—- (Orléans, 7 gennaio 1873Villeroy, 5 settembre 1914) è stato uno scrittore, poeta e saggista francese.

 

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