Vangelo della XXI Domenica del Tempo Ordinario–24 giugno 2025

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24 giugno 2025 — XXI Domenica del Tempo Ordinario
Riflessioni e preghiera di don GINO  FARAGONE

Una pagina particolarmente impegnativa quella del Vangelo di  questa domenica (Lc 13,22-30).

La liturgia  ci presenta un testo a prima vista duro, ma in realtà assai ricco di misericordia.

Continuando il suo viaggio verso Gerusalemme, Gesù continua ad insegnare, rispondendo ad una richiesta di un ascoltatore anonimo. Sullo sfondo si può intravedere l’esperienza missionaria della Chiesa nel mondo giudaico e in quello pagano. In questo contesto le parole di Gesù assumono un tono profetico come ammonimento a scegliere la porta stretta per essere suoi discepoli e poter partecipare al banchetto finale. Non conta essere ebreo o la conoscenza diretta di Gesù. L’appello appare minaccioso nei confronti degli ebrei e dei primi cristiani, che non possono far conto di particolari privilegi, e assai confortante nei confronti dei pagani che si sentono così anch’essi chiamati alla salvezza. Particolarmente esemplare l’atteggiamento di Gesù, che non sfugge alle domande dei suoi interlocutori e cerca di rispondere a tutti, senza nascondere la difficoltà di una risposta che possa soddisfare i suoi interlocutori.
Una domanda sempre attuale
«Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?“».
La tappa finale del cammino di Gesù è Gerusalemme, verso cui si dirige continuando la sua principale attività, quella dell’insegnamento. All’introduzione geografica, Luca aggiunge la richiesta di un tale sul numero dei salvati: una problematica di scuola, accademica, una curiosità teologica. Il tema della salvezza era molto ricorrente nelle discussioni anche popolari, assumendo diverse sfumature religiose e anche politiche. Ma la salvezza non può ritenersi un problema come tanti altri, è il problema fondamentale della vita. La domanda posta a Gesù è di estrema attualità: quanti si salveranno? La cultura apocalittica in cui era immerso anche Gesù, divideva il mondo in salvati e dannati. L’interesse dell’anonimo personaggio riguarda il numero dei salvati. Ritengo però che dietro questa domanda si nasconda anche la possibilità davanti ad un autorevole maestro come Gesù di sapere se sta percorrendo la strada giusta per arrivarci. Per Israele la salvezza era garantita dalla sua appartenenza al popolo eletto e dalla rigida osservanza della Legge mosaica. Ma chi potrà mai dire di avere osservato tutta la Legge? L’interlocutore di Gesù è ora ciascuno di noi che ha la consapevolezza di avere trasgredito qualche volta i comandamenti di Dio e vuol sapere se per lui c’è una qualche speranza di salvezza.
L’insegnamento di Gesù: dalla porta stretta alla porta chiusa
«Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”».
Come spesso accade nel vangelo, Gesù non risponde direttamente alla richiesta del singolo, ma offre un insegnamento valido per tutti: occorre passare dalla curiosità del numero all’impegno personale per avere accesso alla salvezza. Occorre prendere una decisione subito: non si può rinviare la scelta concreta per la porta stretta, occorre un impegno continuo, una lotta attraverso lunghe ed estenuanti prove per assicurarsi la partecipazione al banchetto finale. La porta che conduce al banchetto passa per la sofferenza. Non sono sufficienti un certificato di battesimo, l’appartenenza a qualche confraternita o movimento ecclesiale. Apparentemente la visione sembra un po’ pessimistica. Traspare qui la mentalità giudaica e successivamente quella cristiana che si muovono su un piano molto rigido. Occorre evitare di pensare di essere il solo o tra i pochi ad essere fedeli al Signore. Elia dovrà fare meglio i conti e si accorgerà che non solo lui, ma anche altri settemila non hanno piegato le ginocchia di fronte a Baal (1Re 19,14-18). La salvezza era pensata come un privilegio di Israele. Gesù sottolinea il valore dell’impegno personale: “Sforzatevi!”.
 La salvezza non è un problema tra i tanti, è l’unico problema serio della vita e tutte le religioni cercano di dare una risposta proponendo un cammino con cui l’uomo possa salvarsi. Una domanda quanto mai attuale, che interessa anche ciascuno di noi. Le risposte rabbiniche non concordavano. I farisei ritenevano che la salvezza fosse garantita a tutti gli ebrei, i circoli apocalittici erano invece del parere che fossero pochi i salvati. Gesù non risponde in termini di quantità, fornendo dati statistici o indicando numeri precisi e catastrofiche previsioni, ma richiama l’attenzione sull’impegno che ognuno deve porre per lasciarsi salvare. Non ritroviamo qui il tono di gioia e di festa del vangelo di Luca. La salvezza è presentata attraverso il superamento di una “porta stretta”, un accesso difficile, angusto, che richiede un impegno personale, aperto a chi riconosce la propria cecità ed esprime il bisogno di salvezza. Fuori metafora: per entrare nella felicità del regno occorre un ridimensionamento dei propri atteggiamenti arroganti, presuntuosi. Quel che è più grave è che quella porta, già stretta, sarà chiusa. E’ lo stesso padrone che chiude la porta. C’è un tempo che bisogna utilizzare prima che il padrone di casa si alzi per chiudere definitivamente la porta. E non serve a questo punto rivendicare un particolare rapporto con Gesù, “l’avere mangiato e bevuto in sua presenza”, l’avere accolto il suo messaggio. E’ mancata la giusta attenzione nei confronti degli altri, il servizio verso gli ultimi, il farsi pane per gli altri. Osserviamo un padrone di casa sempre più inflessibile e dall’altra quelli rimasti fuori sempre più disperati. Non sono ammessi privilegi, titoli, che possano suscitare un ripensamento della sentenza. Certamente è importante quello che facciamo per il Signore, ma è ugualmente importante quello che facciamo per i nostri fratelli. Gli esclusi, si badi bene, non sono i nemici della religione, ma quelli che hanno seguito Gesù. E la ragione dell’esclusione non è la ignoranza su Gesù, ma la malvagità delle loro azioni. E’ certamente importante partecipare all’eucarestia: ma questa è più vera se noi stessi diventiamo pane per gli altri. La proposta cristiana esige un impegno concreto nella vita quotidiana. All’ascolto della parola di Dio bisognerà far seguire un comportamento giusto, senza corruzioni, frodi. Non può ritenersi giusto chi annuncia il vangelo, presiede l’eucarestia e poi non ha rispetto per la dignità delle persone. Costui è un operatore di iniquità. Luca non ha dimenticato insegnamenti come quello del buon pastore, del padre del figlio prodigo, dell’amico, ma l’ipocrisia di certi comportamenti di presunti cristiani lo spinge a riportare questo insegnamento di Gesù, che può non piacere, ma non può essere cancellato. L’immondo, il peccatore, il disperato potranno entrare nel regno se esprimono il bisogno; chi pensa di essere a posto, di avere più titoli per salire sul podio delle medaglie, di avere più intelligenza per stare tra gli stretti collaboratori del potere, costui che ritiene di star bene, rimane invece fuori. Per lui c’è un banchetto con il piatto unico che si è preparato, quello del veleno del protagonismo, della carriera. L’insegnamento di Gesù turba non poco ed è un invito serio ad uscire dalla menzogna.
Il testo termina con la descrizione di chi sta dentro e di chi sta fuori: quelli che pensavano di essere eletti in ragione della loro appartenenza all’alleanza con Abramo, rimangono fuori, mentre gli esclusi diventano gli eletti. Viene così modificata la dottrina comune che prevedeva la salvezza assicurata a Israele e negata ai pagani. Il regno è aperto a tutti coloro che mettono la propria vita a servizio dei fratelli, di ogni uomo.
Il Vangelo e noi
Concludiamo con la visione grandiosa del profeta con cui inizia la liturgia della parola di questa domenica: «Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue: essi verranno e vedranno la mia gloria» (Is 66,18b).
Dio ha un grande sogno, vuole manifestare la sua gloria a tutti i popoli, radunati ai piedi del santo monte di Sion. Un annuncio sconvolgente specialmente per gli Ebrei conservatori. Israele è chiamato a rivedere il suo rapporto con gli altri popoli, non deve pensare di essere l’unico popolo chiamato alla salvezza, deve gioire della paternità di Dio offerta a tutti gli uomini.
Cadono così anche le barriere rituali e i privilegi clericali della tribù di Levi, i cui membri potevano diventare sacerdoti e leviti.
Alla fine della storia scopriremo che al banchetto della vita non ci sono solo quelli che hanno ricevuto il dono della fede, ma anche tanti altri, davvero numerosissimi, che hanno osservato il comandamento dell’amore. Tutti i popoli vedranno la gloria di Dio.
Prima di entrare a Gerusalemme, durante la festa giudaica della Dedicazione, Gesù dice: “Io sono la porta delle pecore…chi entra attraverso di me sarà salvo. Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,7.10).
La salvezza passa dunque da questa “Porta”. Rimane fuori solo chi ritiene di star bene e non aver bisogno di nessuno. Un impegno, quello richiesto da Cristo, che non può essere pensato in termini di frequenza a liturgie, a crocifissi appesi alle pareti o al collo, a pellegrinaggi, a candele accese davanti alle statue, a preghiere particolari. La salvezza è certamente un dono, ma esige anche una lotta, la sequela di Gesù, un impegno serio e costante, non facile, perché ha una destinazione precisa, il Calvario, il volersi immolare con Cristo. Il discepolo sa che per essere salvato deve seguire il Cristo, rinnegare se stesso, prendere la croce ogni giorno e sostenuto dallo Spirito essere disposto a offrire la sua vita. Non è sufficiente avere fatto carriera, raggiungendo anche la vetta del cardinalato, per ritenersi come veri cristiani.
Preghiera
Signore, quante porte ancora chiuse!
Quanti telefoni muti!
Tanta incomprensione,
a volte anche disprezzo,
ingratitudine.
Rimangono chiuse le porte degli amici,
impegnati in attività non sempre illuminate dal vangelo.
Lunghi silenzi,
quasi preludi di morte.
Hanno incatenato la speranza,
hanno tentato di imprigionare
la mia libertà di pensiero,
la mia dignità di uomo.
Fa’, o Signore, che rimanga sempre aperta
la porta della mia intelligenza, del mio cuore.
Ho una certezza garantita dalla fede:
la porta del tuo regno è sempre aperta
a chi come me ha dovuto faticare
più degli altri per annunciare il vangelo.
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