Ricordando la mia ordinazione presbiterale per le mani dell’arcivescovo Mons. Peruzzo…..adesso ieri, il 62mo….”Deo gratias et Mariae”

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50mo sacerdozio….festeggiato il 15 giugno 2013—-festa liturgica di S. VITO, martire

 

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A 80 anni dall’attentato a

mons. Giovanni Battista Peruzzo

Ritratto di mons. Giovanni Battista Peruzzo

Il 9 luglio 1945, alle ore 19,30, il vescovo di Agrigento mons. Giovanni Battista Peruzzo subì un grave attentato mentre era in visita pastorale a Santo Stefano Quisquina. Tre ex frati, da tempo allontanati dal convento in quanto del tutto atipici alle regole dell’Ordine francescano e che avevano indossato il saio solo per gestire interessi personali in modo del tutto aggressivo e mafioso, gli spararono mentre in compagnia di padre Graceffa era intento a fare una passeggiata all’esterno del santuario ed eremo di Santa Rosalia. L’alto prelato fu raggiunto da due colpi di fucile che lo colpirono all’avambraccio destro e ad un polmone. I tre ex frati, certi di averlo ucciso, si tolsero il cappuccio e fuggirono. Tornò all’eremo a piedi, sorretto da padre Graceffa. Fu messo a letto e gli prestarono i primi aiuti. Dopo circa un’ora giunsero alcuni medici da Santo Stefano Quisquina.

Il fatto di sangue ebbe una eco nazionale e tutti i giornali e la radio diedero la notizia. Si salvò grazie alle cure prestate immediatamente dal bravo chirurgo agrigentino Raimondo Borsellino che con grande perizia medica operò il vescovo Peruzzo. Alla notizia dell’attentato, infatti, il medico si precipitò a Santo Stefano Quisquina da Agrigento a bordo di una Fiat “Balilla”, superando non poche difficoltà a causa del lungo percorso pieno di curve e con un manto stradale pieno di buche. Sul posto il medico Borsellino si adoperò in un intervento chirurgico che riuscì perfettamente. E qui bisogna ricordare che lo stesso medico trasfuse il suo sangue, date le condizioni del ferito che aveva assolutamente bisogno di plasma. Fu trasportato con una autolettiga ad Agrigento, dove trascorse la sua convalescenza.

Dopo la guarigione mons. Peruzzo, non dimenticò l’aiuto amorevole e professionale del medico. Anzi amava dire ai suoi collaboratori che nelle sue vene circolasse il sangue del noto chirurgo agrigentino. Questo rapporto di sincera amicizia fu gratificante sul piano politico per il medico Borsellino, il quale grazie al sostegno della Curia venne eletto nella lista della Democrazia cristiana alla Costituente con 23.155 voti dopo Salvatore Aldisio, Bernardo Mattarella, Enrico Medi, Gaspare Ambrosini e prima di Giovanbattista Adonnino, Diego D’Amico e Calogero Volpe. Fu riconfermato deputato per altre due legislature, riportando rispettivamente 46.458 voti e 35.117 voti. Alle elezioni del 1958 non fu rieletto.

Il processo contro i responsabili del misfatto si svolse al Tribunale di Sciacca. Gli attentatori furono condannati in contumacia, perché grazie ai tentacoli della potente mafia dei monti Sicani riuscirono ad espatriare negli Stati Uniti. Gli ex tre frati erano venuti a conoscenza del fatto che il Peruzzo si batteva per la riforma agraria e che era contrario in modo categorico al separatismo portato avanti dai latifondisti. Per i tre, sospinti dai padroni terrieri, il vescovo Peruzzo costituiva il nemico da battere, anche perché non vedeva di buon occhio l’onorata società. La sua missione a Santo Stefano costituiva probabilmente il preludio per una rigenerazione non solo del convento sul piano spirituale ma anche per i cattolici della zona di montagna.

Il vescovo Peruzzo giunse nella nostra città il 24 aprile 1932. Il suo primo gesto fu quello di recarsi a far visita agli ammalati dell’ospedale San Giovanni di Dio, allora ubicato all’inizio della via Atenea. Ai medici e agli infermieri disse: «Mi scuseranno se comincio le mie visite dagli ammalati e non dalle autorità. Quando sarò davanti al Tribunale di Dio, Nostro Signore non mi domanderà se ho visitato le autorità, ma se ho visitato gli ammalati».

Ritratto di mons. Giovanni Battista Peruzzo (Palazzo Vescovile Agrigento)

Era un piemontese essendo nato a Molare, un paesino in provincia di Alessandria il 14 luglio 1878. Figlio di Luca e di Antonietta Ivaldi, nel 1887 intraprese gli studi ginnasiali a Cameri, nel convento dei padri passionisti. Nel 1882 fu trasferito a Pienezza dove ottenne il privilegio di iniziare il noviziato prima dell’età canonica. Il 26 luglio 1894 si consacrò al Signore con il nome di Giovanni Battista dell’Addolorata. Nel 1899 ricevette la tonsura e gli ordini minori. Fu ordinato suddiacono da mons. Spandre, vescovo ausiliare del cardinale Richelmy (11 novembre 1900). Il 22 dicembre 1900 ricevette il diaconato e 13 gennaio 1901 fu consacrato sacerdote da mons. G.B. Bertagna, vescovo titolare di Cafarnao. Nel 1906 fu provicario a Cravate e nel 1908 superiore delle Grazie a Mantova. Il 31 ottobre 1923 dalla Curia generalizia fu eletto a succedere a padre Luigi Besi, quale IV Consultore Generale. Fu eletto vescovo titolare di Eurea il 5 gennaio 1924 e venne destinato a Mantova come ausiliare di Mons. Origo, vescovo di quella diocesi.

Ph. da www.storiadiovada.it

Una triste incomprensione da parte di alcuni (come disse il cardinale Ernesto Ruffini nell’elogio funebre) costrinse i superiori maggiori a trasferirlo nella piccola diocesi di Oppido Mamertina sperduta tra i monti della Calabria. Accettò il provvedimento senza discutere e senza ricorrere a influenti personalità che avrebbero potuto sostenerlo. Lasciò senza rancore la città di Virgilio e di San Luigi Gonzaga. Fece il solenne ingresso in Oppido Mamertina il 17 febbraio 1929.

Il 18 gennaio 1932 “L’Osservatore Romano” pubblicò la notizia della sua nomina a vescovo di Agrigento.

Nella Città dei templi si preoccupò principalmente del rinnovamento dell’azione cristiana nell’intera diocesi; promosse le missioni, le visite pastorali, i congressi e soprattutto rilanciò le organizzazioni cattoliche ed in particolare l’Azione Cattolica. Aumentò il numero delle parrocchie e ne costituì in gran numero nelle campagne e nelle zone disagiate. Arricchì la diocesi di nuove famiglie religiose; aprì il seminario minore di Favara. Celebrò il Sinodo Diocesano (1947). Partecipò attivamente ai lavori preparatori del Concilio Ecumenico Vaticano II. In forza della sua riconosciuta autorevolezza fece nominare vescovi i suoi vicari generali, (stretti collaboratori) come Filippo Iacolino a Trapani, Calogero Lauricella a Siracusa, Angelo Ficarra a Patti, Antonio Catarella a Piazza Armerina, e poi Vincenzo M. Iacono…

Morì il 20 luglio 1963 nel paese natale, dove si trovava in ferie a Molare. Ad Agrigento la triste notizia giunse la mattina del 21 attraverso la radio e i giornali. Le campane di tutte le chiese dell’Agrigentino per diversi giorni fecero sentire i rintocchi a lutto, mentre in tutte le chiese venivano celebrate le messe in suffragio. La salma venne prelevata alla stazione di Termini Imerese e trasportata con un furgone ad Agrigento. Giorni dopo, alle ore 16.30 del 27 luglio, venne celebrato il pontificale con la presenza del cardinale Ernesto Ruffini, il quale lesse l’elogio funebre. Venne tumulato nella basilica dell’Immacolata.

Al suo funerale partecipò tutta la città di Agrigento. Mons. Calogero Lauricella che per tanto tempo fu il suo vicario disse: «Mons. Peruzzo ebbe una grande carica umana che suscitava immediata simpatia e raccoglieva intorno a lui ogni categoria di persona dagli umili ai dotti: fu suscitatore di grande entusiasmo, particolarmente attraverso la predicazione che era il suo principale carisma; ebbe grande coscienza della dignità episcopale, vista non solo come animatrice della chiesa diocesana per la soluzione di tutti i problemi religiosi, ma anche come ispiratrice di sviluppi sociali ed economici: un pontefice, un profeta, un console per il popolo di Dio. La principale sua dote morale, a mio avviso, fu la carità, su un sottofondo umano di generosità e compatimento. Lo aveva scelto come motto del suo stemma episcopale: Charitas Chrsti urget nos e ne faceva la caratteristica del suo incontro con le anime. A qualcuno che criticava la sua generosità in nome di una certa prudenza della carne, soleva dire: la carità supera e straripa oltre la ragione».

In suo ricordo, il Comune di Agrigento gli intitolò il villaggio di edilizia popolare costruito negli anni Sessanta, dall’Istituto Autonomo Case Popolari con fondi della Gescal.

(P.C. Archivio de “L’Amico del Popolo”)

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