DON LORENZO MILANI : fede e provocazione — di Mimmo Castronovo

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—-Pubbliclhiamo  questo articolo del Prof. Mimmo Castronovo, già docente e dirigente scolastico che vive a Modica, zona in cui ha  molto lavorato ed ancora, sebbene a riposo, continua a lavorare,  sfruttando le sue capacità  ed i meritati titoli conseguiti  come psicoterapeuta.   Favarese doc,  appartenente ad un gruppo familiare  “storico” della  Parrocchia S. Vito……..E’ figlio della “Zia ‘NGILI’ “…… come la chiamavamo tutti in in parrocchia….  cioè   “Angelina.…. Alongi Castronovo) …. Sua Mamma, donna di grande intelligenza e sensibilità umana, di grande fede professata non solo in privato ma anche in pubblico……in diversi servizi in Parrocchia…..soprattutto come Ministro sraordinario della distribuzione dell’Eucaristia, visitanto tanti ammalati…….

—Tengo a precsiare che nell’articolo tutte  le sottolineature   e le parti in neretto sono mie……Diego sac  Acquisto

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SONO DEBITORE

Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola. Io ho insegnato loro soltanto ad esprimersi, mentre loro mi hanno insegnato a vivere. Sono loro che hanno fatto di me quel prete dal quale vanno volentieri a scuola, del quale si fidano più che dei loro capi politici, per il quale fanno qualsiasi sacrificio.  Io non ero così e perciò non potrò mai dimenticare quello che ho avuto da loro.

                                                                                                                                        ( Esperienze pastorali ed. Fiorentina, pag. 235 ).

 

Sono le parole di don Lorenzo Milani  (1923-1967) che esprimono non solo la sua profonda umiltà e riconoscenza verso i suoi “ figlioli ”, ma sono le parole che danno il senso pieno dell’impegno umano e civile che lo caratterizzano come maestro. La scuola è lo strumento del riscatto umano di quelle persone che solo così possono lottare per togliersi d’addosso secoli di umiliazioni e di schiavitù, esigere dignità e giustizia per arrivare, infine, a una consapevole vita della Grazia.

C’è una continuità ideale, una coerenza logica e una conferma sul piano spirituale e religioso tra tutte le questioni sollevate e proposte nel testo del 1958, “Esperienze pastorali”, e la lettera ai Cappellani militari del 1965.

In realtà le posizioni ideali e i principi ordinatori che si trovano sia nella lettera ai Cappellani e sia nella successiva lettera ai Giudici, sono del tutto presenti nel libro proibito dalla chiesa perché ritenuto “ inopportuno”.

Forse nelle due lettere si può scorgere una maggiore misura nell’uso delle parole e nella calibrazione degli atteggiamenti, mentre nel testo del 1958 il radicalismo di don Lorenzo è più netto e travalica gli opposti fronti della sinistra e della destra dei partiti di allora. Infatti le posizioni e i ragionamenti che vengono manifestati in “ Esperienze pastorali “ sono incardinati nel rigore della dottrina della chiesa che ha come fondamento essenziale la Verità del Vangelo e la coerenza esistenziale della persona terrena di Gesù. Così pure le prese di posizione di carattere sociale e politico, che sono alquanto sconvolgenti e inusuali nella chiesa, sono fondate su una enciclica di fine secolo di papa Leone XIII, la “Rerum novarum “ che per la prima volta pone la chiesa di fronte alle questioni sociali del lavoro e della organizzazione politica della società.

Certamente è una enciclica che, pur risentendo delle contraddizioni della collocazione interclassista della chiesa, sollecita a considerare i poveri, i contadini e gli operai come la classe sociale più vicina ai principi e ai valori del cristianesimo.

Sono questi due elementi essenziali, la presenza costante della figura di Cristo e la scelta di campo della classe sociale dei lavoratori, che danno vigore e coerenza alle scelte rigorose e radicali del sacerdote di San Donato in Calenzano. In aggiunta a questi due aspetti occorre considerare la particolare concezione della funzione del Magistero sacerdotale che amministra i Sacramenti e si prende cura delle anime delle persone affidategli, come espressione e manifestazione terrena della presenza di Cristo e del Suo Vangelo, custodito e testimoniato dalla Sua chiesa.

Infatti la radicalità dei suoi discorsi e le posizioni “ rivoluzionarie “ in campo pastorale e negli interventi sul piano politico, sociale e sindacale, non hanno mai spinto don Lorenzo fuori dalla obbedienza alla chiesa.

Le critiche ai confratelli o alla gerarchia, dure e incalzanti, sono sempre fatte in amore di verità e in amore di coerenza nei confronti del Vangelo e di Cristo.

La constatazione dolorosa delle reali e concrete condizioni di vita del popolo affidatogli lo inquietano e lo stimolano a riflettere, leggere, studiare, confrontarsi e poi lo confermano in precise posizioni sia sul piano politico che su quello pastorale. D’altra parte don Lorenzo con ogni singola persona della parrocchia di San Donato ha un rapporto diretto e personale. Di ogni singola famiglia del suo popolo conosce ogni più piccola angustia, se ne fa  carico, ne soffre insieme, ma si prodiga in modo instancabile per dare aiuto, conforto, indirizzo e proposte di impegno alternativo per consentire ai suoi “ figlioli “ soluzioni reali, adeguate e di lungo periodo.

Il confronto con i suoi confratelli, con l’amico don Piero, lo convincono che deve del tutto abbandonare l’idea di farsi volere bene dai suoi parrocchiani dando loro del divertimento, mettendo su il gioco del calcio, aprendo una sala di cinema e un bar parrocchiale , entrando in competizione con le case dl popolo organizzate dal PCI (“ Noi i possessori dell’Acqua che disseta per l’eternità, a vendere gazzose nel bar parrocchiale, solo perché il mondo usa dissetarsi con quelle !, Esperienze pastorali, pag. 242 ).

Don Lorenzo comprende subito che la condizione di inferiorità sociale, la totale dipendenza dei contadini e degli operai, che conosce uno per uno, dai rispettivi padroni, come pure le condizioni di indigenza e di estrema miseria dei suoi montanari, sono tutti fenomeni legati alla divisione sociale del lavoro e alla realtà della lotta di classe. Sono i montanari e i contadini che mantengono i lussi e i privilegi dei proprietari delle terre e dei casolari che sono privi di luce, di acqua e di strade. Sono gli operai in balia dei capricci dei padroni delle aziende, che permettono loro di arricchirsi e di condurre una vita di agi al riparo da fame, disoccupazione e sfratti.

Don Lorenzo accerta queste condizioni sociali del suo popolo con una pignoleria statistica che si avvale di metodi di ricerca scientifica che pongono i risultati e i dati raccolti in un contesto di certezza e oggettività inoppugnabile.

E’ allora che don Milani si accorge che le conseguenze della inferiorità culturale, la mancanza dell’uso della parola, la inettitudine dialogica dei suoi montanari, dei suoi contadini e degli operai del suo popolo, li espongono non solo agli inconvenienti sociali e psicologici del mutismo, dell’umiliazione, dello stigma, e dell’emarginazione, ma soprattutto li espongono all’arbitrio del potere del padrone, ai ricatti del licenziamento, alla paura dello sfratto e della fame.

In questa radicale consapevolezza costruisce la incrollabile certezza che il suo popolo ha urgente necessità di istruzione severa e impegnativa. Lo scopo della scuola parrocchiale non è quello di dotare i suoi fedeli di titoli di studio, ma è quello di dotarli di abilità a pensare, a ragionare, a costruire una competenza linguistica, lessicale e dialogica che li possa mettere in grado di contrastare pacificamente ed efficacemente le ingiustizie sociali, politiche e sindacali.

Lo scopo del lavoro della scuola è solo quello di portare i contadini, i montanari e gli operai da una condizione sub umana, di bruti legati alle elementari esigenze biologiche della vita, ad una condizione umana, di persone capaci di pensiero, di esprimere idee, di manifestare ragionamenti attraverso l’uso della lingua e delle parole. E’ questa condizione umana, di persona, che può condurre i parrocchiani di San Donato prima e di Barbiana dopo, all’incontro con i Sacramenti, alla vita della spiritualità e alla coerente ricerca di Dio.

Naturalmente questa posizione pastorale e queste scelte di carattere civile e politico, pongono don Lorenzo in una situazione di reale emarginazione all’interno della chiesa della diocesi di Firenze e lo rendono estraneo al mondo politico e sociale che si dice cattolico e cristiano.

 Di tale sua posizione don Milani si rammarica, mentre con forza e coerenza ribadisce la sua totale obbedienza alla sua chiesa e ai voleri della gerarchia. Tuttavia riceve il conforto e la solidarietà di molti altri preti e di tante persone che esprimono apprezzamento e condivisione per le sue idee e per i suoi orientamenti pastorali e politici.

Tra le persone che gli manifestano amicizia e affetto ci sono Giorgio La Pira, padre Davide Maria Turoldo, padre Ernesto Balducci, don Primo Mazzolari, Aldo Capitini, Danilo Dolci e tanti altri.

Certamente è da rilevare che tutte queste persone non fanno parte della Istituzione della chiesa trionfante e potente, né fanno parte di quelle organizzazioni politiche e sociali che sono costantemente a difesa del governo di allora.

Di fronte alla miseria umana e intellettuale dei poveri, don Lorenzo può affermare, in contrasto con tanti suoi confratelli preti, che l’istruzione è il bene della classe operaia, mentre la ricreazione e il divertimento sono la sua rovina.

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Con preoccupazione osserva che la formazione culturale dei seminaristi fanno entrare il prete nella categoria degli intellettuali, ponendoli su una strada che va sempre più lontano da quella in cui arranca il popolo dei fedeli. “< E intanto ci siamo persi la capacità di parlare un linguaggio comprensibile e utile ai prediletti da Dio ( prediletti perché poveri e perché lontani) 81,3 % del nostro gregge “> ( Esperienze pastorali, pag. 206 ).

Oltretutto i giornali che il prete legge sono o giornali cattolici  o giornali           “indipendenti “ . Ma né degli uni e né degli altri è educato a diffidare. Eppure le falsità e gli accomodamenti che si trovano nella stampa di sinistra non sono diversi da quelli che si trovano nei giornali cattolici. E <“ Se dire il falso è un peccato per tutti, per il cristiano, che è figlio della Luce, dire il falso è peccato due volte”> ( Esperienze pastorali pag, 225 ).

Alla attenta osservazione di don Milani risulta evidente come spesso il giornale non intende informare , non si preoccupa di chiarire, quanto piuttosto cerca di sorprendere i più sprovveduti per ammaestrarli in un senso che non è quello del vero.

Il giornale indipendente di Firenze è “La Nazione “ < e’ stato comprato recentemente dagli Zuccheri. Ora non è da credersi che gli Zuccheri ( che lesinano l’aumento di una lira agli operai o la riduzione di una lira ai consumatori con la scusa che non ci rientrano ) vogliano poi spendere 4 miliardi di lire per comprare una testata di un giornale ( passivo) senza un preciso scopo. Questo scopo è la lotta di classe e non quella all’acqua di rosa. Lotta spietata e sanguinaria non meno di quella che si propone nei giornali della sinistra.”> ( Esperienze pastorali pag. 231 ).

Pertanto don Lorenzo Milani è costretto a constatare che l’ 88% degli anziani e dei giovani dei suoi parrocchiani sono intellettualmente alla mercé di chi abbia potuto fare anche una sola classe oltre la scuola elementare. Infatti la poca istruzione, l’insuccesso nell’apprendere e le umiliazione che ne derivano, diventano in sé un ostacolo a potersi istruire e a impegnarsi ad appendere. Queste considerazioni fanno ritenere la scuola sacra come un Comandamento, poiché dal suo operare don Milani si aspetta, non la conversione religiosa, perché essa è un segreto della Grazia, ma certamente un graduale processo di evangelizzazione del suo popolo.

Sono in molti a chiedere al parroco di San Donato quale metodo di insegnamento, quali strategie pedagogiche, quali tecniche didattiche, quali programmi, fanno riempire la scuola di allievi attenti, instancabili e presenti ogni giorno per tutti i trecento sessantacinque giorni dell’anno.

A tutti don Milani risponde che pongono domande sbagliate. Non occorre preoccuparsi di metodi, tecniche e strategie per fare scuola. Ma bisogna preoccuparsi solo di come bisogna essere per potere fare scuola. Bisogna essere ! Ma per poterci essere davanti agli allievi bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali, politici e sindacali. Non si può essere vicini alla classe dei lavoratori e a quella dei padroni. Occorre schierarsi e prendere posizione, netta e coerente.

Bisogna sentire l’urgenza e l’ansia di elevare il povero a un livello superiore: più da uomo, più da persona, più cristiano, più spirituale.

Facendo il giro per la benedizione delle case e delle famiglie, don Lorenzo ha modo di constatare le condizioni sociali, economiche, igieniche, culturali dei suoi parrocchiani.

Oltre a rilevare con cura e rigore scientifico i vari fenomeni di carattere religioso, censisce anche i movimenti, le migrazioni del suo popolo. Osserva, pertanto, che è in atto lo spopolamento delle magre e impervie terre della montagna, come pure l’abbandono delle campagne anche del piano e la fuga dal paese verso la città. Ciò che mette in movimento intere famiglie è un comune stato di scontento e una forte ansia di promozione sociale. Un prete di un borgo di montagna, alla domanda se è Cristo o Satana che chiama i montanari al piano, risponde che è il Cristo senza dubbio, poiché non è possibile che Lui voglia l’uomo sudicio, ignorante e chiuso.

Per fermare questo esodo doloroso e carico di tante conseguenze umane e sociali, don Lorenzo avanza una proposta che definisce “ moderata “: elaborare una legge concepita in un modo radicale.

 

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L’articolo uno dovrebbe prevedere che la terra appartenga a chi ha il coraggio di coltivarla.

L’articolo due dovrebbe prevedere che le case coloniche appartengano a chi ha il coraggio di abitarle, mentre il terzo articolo dovrebbe dichiarare che il bestiame dovrebbe appartenere a chi gli ripulisce ogni giorno la stalla. Infine l’ultimo articolo dovrebbe prevedere che i boschi appartengano a chi ha il coraggio di vivere in montagna.

Ma, sottolinea ancora don Milani, che, anche se si attuasse una simile legge, sarebbe una tardiva giustizia. Secondo il sacerdote di san Donato, occorrerebbe recuperare tutte le ricchezze che per secoli sono partite dalla campagna e dalla montagna verso i salotti della città e trasformare quelle ricchezze in bagni, sciacquoni, scuole, strade, trattori e canali di irrigazione.

Ogni tanto don Lorenzo viene assalito dallo scrupolo di esagerare nel rimuginare pensieri di ribellione e di cruda lotta di classe, a tali scrupoli seguono sempre preghiere contrite e rigorosi esami di coscienza.

Quando un suo confratello gli ricorda o gli rimprovera che lui dà tutta la colpa ai padroni e vede il male solo da una parte, don Milani prova a mettersi in questo ordine di idee e, per scrupolo, prova a pensare male dei suoi “ figlioli “. Tuttavia ben presto scarta queste ipotesi, si ferma e protesta che non può essere che i suoi ragazzi si comportino male, forse sono cose che si sentono dire da chi è comodamente seduto ad un tavolo e vede l’uomo solo come un numero in un foglio di carta.

Il sacerdote ritiene che siano affermazioni dei giornali che si dicono oggettivi e che per principio o ideologia si tengono al di sopra delle parti. La realtà che conosce da vicino don Lorenzo è che, tra chi davvero ha il potere economico, la forza sociale e l’uso facile della parola e chi, invece si trova nella miseria ed è socialmente e culturalmente debole, tra i due le parti non possono essere uguali e non è giusto fare parti uguali tra persone che sono realmente in condizioni di disuguaglianza.

Ribadisce don Milani che proprio per questo non si possono distribuire i torti e le ragioni con salomonica indifferenza, senza tenere conto della concreta realtà della divisione sociale del lavoro nel contesto della società.

Si capisce che la sua scelta di campo diventa sempre più netta e coerente, anche aspra, impegnata e, di conseguenza anche sempre più scandalosa. Nonostante le apparenze, e al di là delle polemiche, don Milani ribadisce e testimonia che la sua posizione resta sempre ancorata alla sacralità del suo ministero sacerdotale che discende dalla rigorosa osservanza della Testimonianza di Cristo, dalla vigilanza coerente e costante sui principi del Vangelo e dal rispetto per la sua Chiesa.

Eppure don Lorenzo Milani ha la piena consapevolezza di non splendere di santità, anzi si dice dotato di tutte quelle caratteristiche umane e relazionali che servono ad allontanare la gente. Anche nel fare scuola si definisce pignolo, spesso intollerante e irascibile. Ma sa di essere capace di toccare l’amor proprio dei suoi parrocchiani, di riuscire a cogliere la loro naturale generosità e di rendere utile e fruttuosa l’ansia sociale di riscatto che sta nelle loro esistenze.

In realtà don Lorenzo ha trasformato l’istinto di ribellione e l’urgenza della giustizia e della uguaglianza, insito nell’animo umano, in affermazione della sua dignità di essere solo servo di Dio e di nessun altro. E questo processo di riscatto e di riappropriazione di senso e di dignità si è realizzato attraverso l’impegno costante e rigoroso nel dotare ciascuno dei suoi “ figlioli “ dell’arma del pensiero e della parola, espressi attraverso i modi pacifici del dialogo e del confronto.

Tuttavia le prese di posizioni, così nette e pubbliche del parroco di san Donato in Calenzano, alzano il livello della polemica e dello scontro, sia nell’ambiente delle organizzazioni sindacali e sociali di orientamento cattolico e sia all’interno della curia della diocesi di Firenze.

Attraverso l’aiuto di Giorgio La Pira e del prete don Bensi, fraterno amico, riesce ad avere una affettuosa e coinvolta prefazione al suo libro   “Esperienze pastorali “ dall’arcivescovo di Camerino, monsignor Giuseppe D’Avak, il placet del censore don Reginaldo Santilli e del cardinale Dalla Costa.  

Nonostante il conforto così autorevole di ben tre prelati importanti, il testo viene violentemente attaccato dalla rivista dei gesuiti e proibito dalla Santa Sede che ordina di provvedere a ritirare il libro dal commercio. Resta un libro proibito fino a qualche anni fa, quando l’attuale pontefice lo riabilita, riconoscendo anche il valore cristiano dell’opera di don Milani.

 

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Ma la presenza e l’opera di don Lorenzo a Calenzano nella parrocchia di san Donato desta scandalo in continuazione, i suoi scolari, contadini e operai, vengono considerati polemici e arroganti, indisciplinati nelle fabbriche e nelle aziende. Essi osano contestare con ragionamenti e discorsi in pubblico il potere sia dei proprietari delle terre che i padroni delle fabbriche e della aziende, arrivando persino a criticare il partito cattolico che esprime il governo.

E’ allora che il cardinale arcivescovo di Firenze M. Florit, con una lettera, allontana don Lorenzo Milani dal suo popolo di 1200 anime di san Donato e lo conduce a Barbiana, una località di montagna dove sono una antica chiesa e una canonica abbandonate da tempo.

Ubbidiente e addolorato, ma ancor più determinato, a Barbiana inizia immediatamente il suo ministero di sacerdote conoscendo uno per uno i suoi nuovi parrocchiani che sono ben 42 anime. Si trova subito a suo agio, poverissimo tra poverissimi.

I suoi parrocchiani di Barbiana sono silenziosi, riservati, diffidenti e vivono in condizione di totale miseria sia materiale che spirituale.

Con la sua insistenza e determinazione, don Milani riesce convincere i montanari a mandare i loro figli alla scuola che apre nella canonica.

 La scuola funziona ogni giorno dell’anno per l’intera giornata e diventa uno strumento vitale per gli allievi e per i loro genitori per imparare a pensare,  imparare a parlare, imparare ad agire seguendo i principi e l’insegnamento di Gesù e del Vangelo e avendo come padroni solo la propria coscienza e l’austera testimonianza della verità.

Quando un’anziana nobildonna fiorentina viene a sapere che gli operai e i contadini della scuola di don Lorenzo Milani leggono e commentano l’Apologia di Socrate di Platone, se ne meraviglia e, incredula, pensa che l’opera di quel prete disorienti e confonda l’animo degli allievi. Ma sono la consuetudine allo studio, l’abitudine alla riflessione, la continua ricerca sui temi della scienza, della storia e dei fenomeni sociali che mettono questi figli della terra e della montagna in grado di dialogare e di discutere “ alla pari “ con le varie personalità che regolarmente ogni venerdì vengono a trovare quella scomoda scuola, tanto interessante quanto scandalosa e strana.

Pertanto, quando qualcuno porta ai ragazzi e al loro maestro un ritaglio di giornale con la

dichiarazione dei cappellani militari della Toscana, che definisce gli obiettori di coscienza come dei vigliacchi lontani dall’amore cristiano,

si apre un vivace dibattito, si aprono i libri di storia e si tengono due importanti punti di riferimento , l’insegnamento di Cristo e l’articolo 11 della Costituzione della Repubblica.

La ricerca mette in mostra come l’obbedienza agli ufficiali dell’esercito della patria, istituito e pagato per tutelare i valori della libertà e del bene del popolo, abbia sempre esercitato violenze verso altre patrie disattendendo il principio della Costituzione della Repubblica.

Vengono ricordate le tante guerre di aggressione portate a popoli che certamente non rappresentavano né pericolo e né minaccia per la patria. Vengono ricordati i tanti ordini ciecamente obbediti di uso di gas letali su intere popolazioni inermi come pure viene ricordata attribuzione da parte del re “ buono “ della onorificenza al valore al generale Bava Beccaris che nel 1898 uccide a cannonate 80 civili inermi e ne ferisce altre centinaia che protestavano pacificamente contro il rincaro delle farina a Milano.

Alla fine di questo dibattito e a conclusione della accurata e documentata ricerca storica, don Lorenzo scrive una sua lettera ai cappellani militari, la invia a diversi giornali,  nessuno la pubblica, solo Rinascita, la rivista culturale del partito comunista ritiene opportuno pubblicarla e, per questo, il suo direttore si trova incriminato insieme al sacerdote.

Don Lorenzo e i suoi allievi si sentono in dovere di parlare e di rispondere proprio perché né la curia del vescovo, né i vari partiti, né gli intellettuali hanno protestato contro le affermazioni ingiuriose di quei cappellani che, in verità si erano riuniti in appena 20 membri in rappresentanza di 120 cappellani della Toscana. Naturalmente la lettera viene incriminata e il maestro della scuola di Barbiana viene trascinato in tribunale. Don Lorenzo non può presentarsi dinanzi ai giudici perché malato e scrive loro una lettera ancora più incisiva che è la testimonianza del primato della coscienza contro l’invadenza di una legge che si avverte ingiusta e superata.

 

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Ancora la lezione antica di Antigone torna a risuonare in quella scuola e nell’aula di quel tribunale e la scelta è sempre quella del rispetto della voce della propria coscienza contro l’ordine e la forza del potere costituito che protegge se stesso. E allora diventa necessario violare quella legge di cui si ha piena consapevolezza che è cattiva e ingiusta, accettando le conseguenze e le pene che essa prevede, come era già capitato ai 31 obiettori in carcere a Gaeta e sia a padre Ernesto Balducci e a Danilo Dolci. Ma chi si espone a pagare di persona violando una legge ingiusta e cattiva, testimonia che vuole una legge migliore e che ama la legalità e la legge più di altri che tacciono.

Ecco un fatto, un evento che è sfuggito alla attenzione e alla considerazione dei più, diventa un inciampo, una fonte ricca di domande e di curiosità per quel maestro e per quegli scolari.

La curiosità si trasforma in un problema da capire, da affrontare, che esige studio, ricerca, approfondimento, riflessione, discorsi, confronti e poi finalmente la codificazione in un complesso di parole che comunicano, che parlano e possono essere capite, accolte e anche respinte e rigettate, ma in ogni caso è cultura, è identità, è esserci.

Questo traguardo è lo scopo essenziale della scuola di don Milani : contadini e operai competenti nell’uso della parola per esprimere la loro libertà, la loro coscienza e la loro dignità di uomini che sono illuminati dalla parola del Vangelo.

  1. 11. 2023

 mimmo castronovo

 

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26-11-2023

RISCONTRO (a caldo) a MIMMO CASTRONOVO

Complimenti……..Ho appena finito di leggere il tuo scritto. Mi pare completo ed esatto  sia  nella lettura degli eventi che nella  comprensione del messaggio di don Milani, così come nella descrizione delle caratteristiche  della sua personalità di “servo di Dio e di nessun altro”.

Anche se non compreso …..da tanti…. e dalle stesse Autorità…… si è comunque discretamente  trovato in buona compagnia… persone di cui anche allora non fu colta la loro valenza valoriale….come….Giorgio La Piradon Bensi….il Card. Della Costa …… La  riabilitazione di don Milani a me pare antecedente a Papa Francesco, ….. il quale …..ultimo….comunque…..con il suo pellegrinaggio a Barbiana  ha messo il sigillo definitivo…..

Diego Acquisto

26-11-2023

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