19/02/2023 VII  DOMENICA  DEL  T.O. — Vangelo MT. 5, 38-48

Meglio insudiciati camminando, che puliti dietro una scrivania.

La Parola di Dio trova il suo spazio ideale tra la folla affamata di serenità, di giustizia, di pace.

Se vogliamo renderci credibili nell’annuncio della gioia e della speranza del vangelo, dobbiamo rimuovere alcuni ostacoli che hanno rallentato la Parola nel suo cammino verso il suo pieno adempimento.

La prima difficoltà è l’immagine stessa di Chiesa: occorre recuperare il senso della sinodalità, il camminare insieme, l’apertura a nuove esperienze, il coraggio nel lasciarsi condurre sulle ali di aquila, che è lo Spirito Santo.

Il primo passo da compiere è il rinnovo delle strutture. E da questo sinodo che si sta celebrando in Germania, la Chiesa tutta si aspetta il vento forte dello Spirito che spazza via tutto ciò che è inutile per parlare lingue nuove.

Auguriamo anzitutto che ci sia un tempo adeguato di ascolto e di ascolto serio, non formale.

Tra i tanti argomenti, rilevanti appaiono la questione culturale del nostro secolo, il ruolo delle donne e dei loro possibili ministeri nella Chiesa.

Un cammino non certamente facile, ma assolutamente necessario e urgente.

La Chiesa deve far di tutto per recuperare la sua credibilità perduta negli ultimi anni e avviare un processo di dialogo, ascoltando ciò che il nostro popolo dice. La gerarchia deve impegnarsi di più nell’ascolto.

   Continua il “discorso della montagna” (Mt 5,38-48) per arrivare al cuore del vangelo, l’amore verso il nemico.

Gesù annuncia una parola di salvezza e invita i suoi discepoli a scoprire il senso liberante della Legge, il suo primitivo splendore. Egli non è venuto ad abolire la legge ma a portarla a compimento.

  Gesù ci aiuta a capire il presente alla luce del passato, alla luce di una Parola di Dio, consegnata a Mosè, che ci permette di comprendere il progetto originario di Dio nel volere la salvezza di ogni uomo.

Scribi e farisei purtroppo nell’interpretazione della Legge fraintendono il senso più genuino e velano questo splendore. Nelle loro mani la legge è diventata strumento di potere per la difesa dei privilegi di pochi, mai per la difesa del popolo.

E’ curioso osservare che nei vangeli mai ci si appella alla Legge per difendere il popolo, ma unicamente in aiuto alla casta sacerdotale. I religiosissimi farisei in particolare cercavano di osservare scrupolosamente tutte le norme per sentirsi a posto davanti a Dio. Ma si trattava di una osservanza esteriore.

Gesù spesso smaschera questa religiosità di facciata e ai suoi discepoli chiederà molto di più.

Il testo del vangelo di oggi presenta le ultime due antitesi: la rinuncia alla vendetta, andando oltre alla legge del taglione, e l’amore per i nemici.

Quanto richiesto da Gesù sembra davvero assurdo per non dire impossibile. Ma non dimentichiamo che chiave di lettura di tutto il brano è proprio il versetto finale, che propone l’imitazione di Dio: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.

Occorre davvero una rivoluzione per entrare nella logica del vangelo, per comprendere la nuova immagine di Dio rivelata da Gesù, che non può essere accolta nel vecchiume degli otri che gelosamente continuiamo a conservare.

Il vino nuovo dell’amore ha bisogno di otri nuovi. La nuova alleanza con Dio non è più basata sull’obbedienza e sulla sottomissione, ma sull’amore. Il servizio ormai sarà richiesto unicamente a beneficio dell’uomo. Chi vuol servire Dio, è necessario che si metta a servizio di ogni uomo. Questa è la nuova religione, la nuova dottrina insegnata da Gesù.

 Nessuna forma di violenza

  «Gesù disse ai suoi discepoli: Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello».

Davanti alla vendetta selvaggia (cfr Gen 4,23s), la legge del taglione (dal latino talis esto), presente anche nel Codice di Hammurabi, stabilisce una certa parità (cfr Es 21,4). La vendetta antica era feroce, implacabile e poteva esercitarsi sia sul colpevole o anche su un suo familiare. Forma che possiamo ravvisare nella delinquenza comune organizzata. La legge del taglione pone un limite ristabilendo una certa parità, cerca di contenere il male con una pena corrispondente. Appare come una legge saggia, in una società che non riesce a contenere la vendetta entro certi limiti, affermando la responsabilità personale del proprio comportamento e una equa proporzione tra reato e punizione.

I rabbini poi per rendere più applicabile la norma hanno sostituito la pena con un risarcimento. Per Gesù questa norma non appare sufficiente e propone la nuova economia dell’amore: non resistere al nemico, offrire l’altra guancia se colpiti, cedere anche  il mantello se portati in tribunale per una tunica.

In pratica non cedere alla violenza, non restituire il male con il male, essere tolleranti, rinunciare anche ad un diritto. Proposte sconvolgenti che rispondono solo alla logica dell’amore, al vino nuovo che non può essere conservato negli otri vecchi. Gesù propone un atteggiamento che non si limita ad arginare il male, ma intende costruire la pace, offrendo così al malvagio uno sguardo diversamente illuminato di ciò che è accaduto. In questa maniera ci avviciniamo al grande mistero dell’amore di Dio.

Parole di difficile attuazione, ma che trovano piena attuazione in Gesù, che accetterà una ingiusta condanna davanti ad un tribunale umano e morirà perdonando i suoi crocifissori. E’ un assurdo la morte di un Gesù in croce, ma è la verità dell’amore. Solo chi ama è disposto a morire per l’altro.

La legge del taglione che in realtà rappresentava una grande conquista, perché evitava che si potesse dare in modo arbitrario una pena non corrispondente alla colpa, qui segna il passo per dare spazio ad un nuovo concetto di giustizia. Questo non comporta una forma di passività nei confronti di chi fa uso della violenza per mostrare le sue presunte ragioni. Ricordiamo l’episodio in cui Gesù reagisce rimproverando colui che gli ha dato uno schiaffo, non offrendo chiaramente l’altra guancia: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23).

 Una generosità senza limiti

«E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle».

I soldati  romani potevano costringere i civili a prestare qualche servizio (si pensi al Cireneo). Gesù consiglia di raddoppiare la lunghezza del percorso e di essere generosi anche nei confronti di chi  chiede un prestito. La violenza può essere vinta disattivando il suo circuito. Come si può notare, Gesù non invita alla rassegnazione, ad accettare la prepotenza del malvagio, ma a rompere il cerchio della violenza. In altre parole: ad essere buoni, ma non cretini.

E come se davanti al prepotente che, abusando del suo ufficio, noi rispondessimo dicendo: “Puoi umiliarmi, puoi buttarmi pure fuori, ma non riuscirai a costringermi a volere il tuo male. Puoi non volermi bene, ma per la forza del vangelo non potrò rinunciare a cercare di volere unicamente il tuo bene”.

L’amore anche al nemico

«Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Gesù tocca ora uno dei punti più rilevanti della spiritualità ebraica: l’amore del prossimo. Ma chi intendere come prossimo? Normalmente si pensava come prossimo un membro di famiglia, uno della tribù, uno appartenente al popolo ebreo. Gesù invita ad allargare ulteriormente il cerchio del prossimo: tutti sono prossimo e non soltanto i membri del popolo d’Israele (Lev 19,18).

Per quanto riguarda l’odio al nemico, appare eloquente la preghiera del Salmista: Quanto odio, Signore, quelli che ti odiano! Quanto detesto quelli che si oppongono a te!  Li odio con odio implacabile”  (Sal 139,21s).  Un odio dunque più che tollerato, quasi benedetto! Un atto religioso!

Gli Esseni, sulla base di questo testo, insegnavano l’odio verso i nemici.

 

  Gesù cambia totalmente registro, prende le distanze da questa cultura e ci esorta all’amore anche verso i nemici per i quali bisogna anzitutto pregare (in greco non il più comune verbo fileo, ma agapao, un amore di altissimo livello).    Solo così possiamo riconoscerci come figli dello stesso Padre, che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi. Qui non si tratta di un amore spontaneo, ma di un comando divino. E tutti abbiamo bisogno di sentire questo amore. Non c’è che dire! Un amore offerto indipendentemente dalla risposta. Se non ci sentiamo amati, siamo nessuno e non siamo capaci d’amore. Può amare il nemico solo colui che ha sperimentato e conosciuto lo Spirito del Signore.

Come possiamo riconoscerci figli dello stesso Padre, alzare le braccia, dire “Padre nostro” e constatare che le nostre mani sono macchiate del sangue innocente del nostro “fratello-nemico”?

Abbiamo da tempo imparato ad elencare motivi validi per giustificare le guerre.  E così uccidiamo in nome della pace, in nome della civiltà, per difendere un territorio, per difendere lo stesso Dio. Siamo talmente abili che inventiamo il nemico per poterci difendere e dunque attaccarlo.

 Quanta fantasia e quanta ipocrisia! Se ci guardiamo attorno, ho l’impressione che gli uomini più potenti del pianeta sono dei pazzi innamorati della morte e che investono nella produzione di armi.

A fronte di questo scenario immoliamo sull’altare della morte e dell’orgoglio umano tanti bambini deceduti per fame o per malattie curabili. Il testo si chiude con l’invito ad essere perfetti come il Padre, invito che Luca esplicita con l’esortazione: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (6,36). L’amore si traduce dunque nel segno della misericordia.

 Noi e il vangelo

  E’ bello davvero il messaggio del vangelo, anche se incomprensibile. E’ bello sentire proclamare una parola, anche se poco vissuta, che ci rende liberi. E’ bello sentirsi destinatario di una parola chiara e sempre esigente. Una parola che interpella me, come se fossi l’unico destinatario. Una parola graffiante, luminosa, capace di raggiungere l’immensa solitudine, piena solo di rabbia. Una parola che mi impegna a giocare la partita senza perdere mai la speranza della vittoria. Ormai come se fosse un solitario. Una parola che mi abilita a lottare per i deboli, a proclamare un vangelo di giustizia, a non rinunciare alla gioia di vivere. Una parola espressa con l’imperativo, ma che non esprime un comando.

Le istituzioni pensano di avere più potere se comandano, ma non sono credibili. Dio sa solo proporre, perché sa davvero amare, rispettando la nostra libertà.

Don Gino Faragone

 

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