III DOMENICA DI AVVENTO 11-12-2022 — La bontà del dubbio

III DOMENICA DI AVVENTO 11-12-2022

Vangelo del giorno – sabato 10-12-2022

 Mentre scendevano dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?».

Ed egli rispose: «Sì, verrà Elìa e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro».

Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista.

(Mt 17,10-13)

Commento

Ci sono i profeti, camminano in mezzo a noi, pranzano con noi, pregano con noi. Difficilmente vestono pelli di cammello e non si nutrono di locuste. Spesso non sanno nemmeno loro di essere profeti, nemmeno sanno di essere portatori di Parola divina, perché Dio agisce così, utilizzando le vite di chi lo cerca e lo segue per farle splendere nella tenebra. Ma il rischio, sempre attuale, per noi discepoli, è quello di non vederli, di non accorgerci della loro presenza, di ignorarli, di confonderli per gente un po’ stralunata, stramba, eccessivamente devota o pessimista. Dio viene nelle nostre vite, continuamente, ma abbiamo bisogno di fratelli e sorelle che ce lo indichino, che ci richiamino all’essenziale, con le loro parole e i loro gesti. Giovanni Battista ha illuminato brevemente la scena religiosa del giudaismo per poi finire nell’oblio, sostituito da altre urgenze, da altre novità, dal tran tran quotidiano. Stiamo desti oggi, all’erta, sul pezzo, connessi. Chissà che un profeta non incroci le nostre vite indicandoci il Maestro. Attenti, però, è il nostro sguardo, lo sguardo del cuore che solo può conoscerli.

(Paolo Curtaz)

Era convinzione generale, ai tempi di Gesù, che il Messia sarebbe stato preceduto dal ritorno del profeta Elia. Questo segno, nell’immaginario collettivo, sarebbe stato la prova inconfutabile della venuta del Messia. Ecco perché nel Vangelo di oggi i discepoli domandano: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». Gesù risponde loro che non solo questa cosa è vera, ma che Elia è già venuto e lo hanno fatto fuori. Era Giovanni Battista l’Elia che tutti attendevano, ma è finito con la testa tagliata. Il grande profeta che avrebbe dovuto preparare la via del signore finisce morto come la maggior parte dei veri profeti, e come paradossalmente succederà anche allo stesso Messia. Il Vangelo di oggi sembra suggerirci che tutti siamo sempre in attesa di un segno che ci aiuti a discernere qual è la cosa giusta da fare, ma molto spesso i segni che ci aspettiamo sono segni spettacolari, segni incontrovertibili, ma la verità è che i segni sono solo segni, e molto spesso ci lasciano talmente tanto liberi da poterli persino ignorare o bistrattare. C’è bisogno invece di una grande sensibilità interiore nell’accorgerci di ciò che il Signore ci manda come segno per indiarci la strada senza però mai sostituirsi alla nostra libertà. Chiedere a Dio di essere così esplicito da toglierci le nostre scelte non è in fondo un buon affare. Oggi chiediamo occhi per riconoscere quell’Elia nascosto dietro i Giovanni Battista di cui è popolata la nostra vita.

(Luigi Maria Epicoco)

III DOMENICA DI AVVENTO 11-12-2022

La bontà del dubbio

Gesù continua ad essere il personaggio più inquietante della nostra storia, uno che non ti permette di rimanere indifferente. Il suo modo di annunciare il vangelo del Regno, il suo rapporto con i peccatori, in una parola il suo stile di vita pone seri interrogativi su Dio e sulla sua relazione col mondo e con gli uomini.

Il vangelo di oggi (Mt 11,2-11) presenta la domanda di Giovanni Battista sulla identità di Gesù e la risposta di Gesù agli inviati di Giovanni. Al Battista, che è stato rinchiuso nella fortezza di Macheronte, arrivano notizie su Gesù, che lo lasciano piuttosto sconcertato sulla sua vera identità. Si aspettava un Messia che avrebbe imposto con la forza il Regno di Dio, che avrebbe liberato i prigionieri, che avrebbe punito i malvagi. Gli tocca invece sentire che Gesù non solo non condanna i peccatori, ma si accosta e mangia con loro. E’ troppo diverso da come Giovanni se lo aspetta. Avere dei dubbi non è peccato, ma una opportunità per iniziare un percorso verso la verità. La Bibbia pone tantissime domande su Dio, sul suo rapporto col mondo e coll’uomo. Man hu, “Che cos’è?” E’ la domanda che Israele nel deserto pone con sorpresa al contatto con la manna. E dovrebbe essere anche la nostra domanda davanti alle sorprese che Dio intende comunicarci con la sua parola. Davanti al testo sacro dovremmo presentarci nudi, senza paura, come bambini, nascosti e nel contempo contenti che qualcuno scopra il nostro nascondiglio. “Dove sei?” e non “Cosa hai fatto?”: questo è l’interrogativo di un Dio preoccupato della sorte dell’uomo. Che bello sentirsi cercato! Che bello sentire che chi ci cerca pone questa domanda: “Cosa vuoi che io faccia per te?”. La nostra è la religione delle domande. E la principale è questa: “Chi è costui?”, riferita a Gesù. Senza domande è impossibile un cammino di fede. E il dubbio diventa metodo, ricerca di verità, insoddisfazione per le risposte ricevute, attesa del nuovo, speranza di vita. Indubbiamente è tanta la gioia che procura la certezza della verità, ma è molto più appassionante la ricerca per raggiungere la verità. Il dubbio, come dice Papa Francesco, è un’alta forma d’intelligenza. Ai miei alunni per tanti anni e ora lo ripeto qui dicevo che non bisogna scandalizzarsi per il dubbio, per le difficoltà a trovare delle giuste risposte che riguardano Dio. Facciamo ancora fatica a mettere da parte quelle certezze che ci venivano da una certa teologia, dagli schemi preconfezionati che non lasciavano spazio al dubbio. Il nostro Dio non si sorprende dei nostri interrogativi, della nostra amarezza, dell’angoscia della nostra ricerca. “Il Signore Dio è verità” (Ger 10,10), l’uomo è colui che cerca di stare davanti al volto di Dio. Il dubbio mi è stato compagno di vita, sempre. Il dubbio come provocazione, come ricerca di luce. Oggi mi ritrovo accanto un buon testimone del dubbio, Giovanni il Battista. Solo gli stupidi amano vantarsi delle loro presunte certezze. Credo sia davvero interessante fermarsi e tentare di dare una risposta sull’identità di colui che ci apprestiamo a celebrare tra qualche giorno. A meno che non vogliamo anche quest’anno perdere questa opportunità e accodarci alle innumerevoli e qualche volta fastidiose fiere della bontà.

Il dubbio di Giovanni Battista

«Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”».

Giovanni appare davvero disorientato e invia due suoi discepoli per sapere qualcosa di più. Egli che aveva scelto di stare nel deserto, predicare un battesimo di conversione, deve ora radicalmente cambiare l’immagine che ha di Dio e del Messia atteso. Giovanni infatti si aspettava dei segni sconvolgenti, delle manifestazioni di trionfo, la venuta del Messia su un carro di fuoco, un unto del Signore, che avrebbe dovuto incutere paura, eliminare gli alberi infruttuosi e avere in mano il ventilabro per separare i buoni dai cattivi. E invece niente di tutto questo. Niente ascia. Niente albero tagliato. Proprio niente. Gesù adotta metodi diversi da quelli pensati da Giovanni: gli alberi infruttuosi devono essere zappati e concimati, piuttosto che tagliati. Le attività di Gesù, che insegna, guarisce, chiama alcuni a seguirlo, manifestando sempre misericordia, suscitano non poche domande: si va dalle perplessità di Giovanni, all’ostilità aperta di alcuni galilei, all’accoglienza generosa dei “piccoli” del regno. Giovanni, piuttosto che mettere in discussione l’operato di Gesù, rivede le sue posizioni e manda un’ambasceria da Gesù, per cercare di capire meglio. Il dubbio di Giovanni merita comprensione e rispetto. Il più grande tra i figli dell’uomo vive il dramma del dubbio, il sospetto dell’errore. E’ un uomo! E Gesù ha rispetto del dubbio, mostra comprensione, è pronto a dare una risposta sulla sua identità. Un comportamento estraneo alle nostre istituzioni.

La risposta di Gesù

«Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”».

Gesù alla domanda di Giovanni risponde attraverso un resoconto sintetico della sua attività e la proclamazione di una nuova beatitudine, quella di chi non trova in lui motivo d’intralcio alla fede. Gesù può essere meglio compreso osservando le sue opere: la ricerca della pecora smarrita, l’annuncio ai poveri di un Dio che ama, il tentativo di rendere più dignitosa la vita degli uomini. Gesù non affida la sua risposta ad un testo di catechismo, ma alle opere che egli compie: ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi, morti riprendono a vivere, guariti nelle loro infermità. Giovanni e anche noi dobbiamo imparare che Gesù è colui che dà fiducia alle persone disperate, che permette anche a quanti sono bloccati di camminare con i propri piedi nelle strade impervie di un mondo corrotto, che consente a quanti non si sentono accettati di poter guardare avanti come protagonisti della storia in un sereno confronto con gli altri, che apre l’orecchio dei sordi per far gustare l’armoniosa voce di Dio. La risposta di Gesù diventa così piano pastorale permanente della Chiesa, metodo che, allora come oggi, può suscitare non poche perplessità e perfino scandalo anche su Gesù.

Il giudizio di Gesù su Giovanni Battista

«Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”».

Andati via i delegati del Battista, Gesù si rivolge alla folla per parlare di Giovanni, purificare l’immagine che alcuni hanno su di lui e tesserne l’elogio. Offre una bella testimonianza nei confronti di un uomo che non teme di rischiare la vita in nome della verità, che non ha paura di scagliarsi contro i potenti e invita tutti ad un battesimo di vera conversione. Una testimonianza di uno che conosce molto bene il Battista, che ha tanto “imparato” da lui. E’ possibile ipotizzare che anche Gesù possa essere stato uno che abbia visto e sentito questo profeta appassionato durante la sua predicazione nel deserto. Anche Giovanni è la parola da vedere, la parola che può essere imprigionata e che continua a risuonare. Una parola aggredita, ritenuta possesso privato da scribi e farisei di ogni tempo. E molto bene. Ma Giovanni, nonostante i suoi dubbi, rimane un grande e vero maestro per Gesù, non una canna sbattuta dal vento. Non mancano neppure oggi testimoni coraggiosi di verità, persone imprigionate, in qualche modo costrette al silenzio, diventate scomode, che non alimentano il culto della loro personalità, lontane dai centri di potere. Persone che non possono essere ignorate. Persone che rischiano ogni giorno ad alimentare il fuoco dello Spirito, persone che non si accontentano di trascorrere il Natale solo tra suggestive nenie, persone che pagano caramente per le scelte fatte. Occorre mettere da parte quelle certezze che ci venivano da una certa teologia, quelle certezze dei nostri manuali, quegli schemi preconfezionati che non lasciavano spazi a nessun dubbio. Non è pensabile di potere ottenere delle giuste risposte da Dio, che cancellino ogni dubbio. Il Dio della Bibbia che comunica con l’uomo conosce perfettamente il dubbio di chi lo cerca, la fatica della ricerca, l’incertezza della scoperta.

Che idea abbiamo noi del Messia?

Per comprendere l’identità di Gesù, occorre osservare le opere che egli compie. Non basta proclamare che egli è il Messia, il Figlio di Dio. Bisogna accettare la sua idea di Messia, che si traduce nel cercare la pecora smarrita, nell’annunciare ai poveri la buona notizia di un Dio amore, nell’alleviare le sofferenze degli uomini, nel liberare la vita. Con una sola espressione: rendere la vita degli uomini più dignitosa e felice. Gesù si fa vicino ai bisognosi, si dedica unicamente a liberare gli uomini da tutto ciò che impedisce loro di vivere la speranza di un mondo migliore. Oggi, come Chiesa, quale annuncio di Gesù facciamo? Quali delle sue opere facciamo? Ci siamo anche noi rassegnati ad “una cultura della violenza”? Riteniamo davvero che non ci sia proprio niente da fare per ridare senso alla vita? Possiamo permetterci di pensare alla vita per riempirla di cose, alla ricerca sempre di nuove sensazioni, di nuovi stimoli? La vita può essere pensata finalizzata al lavoro, alla produzione, al consumo e al divertimento? Sappiamo che a tanti manca l’espressione concreta di un gesto d’amore, che molti vivono una profonda solitudine, in depressione, senza alcuna speranza. Credere in Gesù significa amare la vita, aprirla alle sue aspirazioni più profonde. Che tristezza osservare che alcuni rifiutano Gesù, perché non lo abbiamo saputo presentare nel modo giusto e non hanno avuto la possibilità di sperimentare che Egli è venuto nel mondo “perché gli uomini abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Al mondo che aspetta un vero Messia annunciamo un Gesù che nutre una autentica passione per l’uomo? Tutti devono poter sentire attraverso le nostre mani la carezza e la tenerezza di Dio.

Io, chi sono?

E’ più facile rispondere negando, piuttosto che affermando: so chi non sono, ma cerco di rispondere dichiarando di me quello che vorrei essere. So di essere una voce, come quella del Battista, che rende testimonianza alla luce, una voce che esige silenzio, una voce che va ascoltata dentro, anche nel rumore della quotidianità. E nel silenzio lungo di questi anni ho ascoltato questa voce e rivisto troppe cose che pensavo ormai sepolte: tornano alla memoria per scrivere una storia che mi rifiutavo di pensare che fosse la mia. Nel silenzio ho incominciato a scoprire il senso dell’attesa, il volto delle persone che non contano, quelle persone che davvero aspettano qualcosa, qualcuno che li liberi da queste strutture di nuove schiavitù, qualcuno che annunci la Parola che libera, la Parola che salva.

So di essere un orchestrale, non un direttore d’orchestra. Uno dei tanti, uno che ha uno spartito da eseguire, uno che suona uno strumento che si confonde con gli altri, senza lo spazio privilegiato di un “a solo”. Questo compito lo lascio a chi continua a vedere anche nell’orchestra, immagine della mia chiesa, uno spazio di potere. Non mancano neppure da noi questi personaggi affamati di potere. Ringrazio Dio quando incontro un fratello che mi sorride, percepisco in lui la voglia di superarsi, l’impegno a costruire nonostante tutto un mondo migliore. Sogno una chiesa-orchestra con un maestro che conosce gli orchestrali e non solo gli strumenti musicali, un maestro attento alle problematiche dei suoi orchestrali, capace di spiegare la bellezza del brano e lo spartito di ogni singolo strumento. Ogni orchestrale poi sarà educato ad attendere il senso della pausa dello strumento vicino, ad eseguire bene la sua partitura. Tutto concorre alla riuscita del concerto. Il mio silenzio non è assenza di suono, è l’ascolto dell’ultima nota suonata dallo strumento a me vicino: il mio strumento vibra di quella nota anche se non direttamente da me suonata. Tutto ciò crea armonia, bellezza, gioia.

Resto in attesa di un maestro che sappia lasciare la sede dei palazzi, che ritrovi nelle periferie la voce coraggiosa del Battista, che non si scandalizza dei tanti orchestrali-penitenti. In attesa di un suono non suonato che si chiama emozione, ascolto profondo, rinascita a vita nuova.

Don Gino Faragone

 

 

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