A margine di quanto si scrive oggi su “L’Osservatore Romano”.

A proposito di rivoluzione copernicana nel governo della Chiesa. Ne abbiamo accennato noi,  in un precedente servizio, quando abbiamo ricordato che  con la domenica di Pentecoste, nei primi giorni dello scorso  giugno, entrava in vigore  la nuova normativa della  Costituzione Apostolica “Praedicate Evangelium”, sulla Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa nel Mondo, che era stata firmata da Papa Francesco il  19 marzo precedente, sempre cioè di questo 2022.

Uno scossone, dicevamo al clericalismo ! perché chiaramente si affermava che  la potestà vicaria per svolgere nella Chiesa un ufficio è la stessa se ricevuta da un Vescovo, da un Presbitero, da un Diacono,  da un consacrato o una consacrata, oppure da un laico o una laica.   Cioè, essere una cosa diversa la potestà sacramentale che deriva dal sacramento dell’Ordine,  e la potestà à di giurisdizione che in forma vicaria,  può  essere esercitata anche da chi non ha ricevuto il sacramento, e quindi anche da una donna.

Un vero colpo mortale al clericalismo, giudicato dal Papa,  in varie circostanze,   un vero e proprio cancro, nella vita della Chiesa, così come  presentata dal Vaticano II, cioè come “Popolo di  Dio in cammino nella storia”.

Riproponiamo per i nostri elettori, le nostre considerazioni di appena un mese fa, collegandole con un lungo, articolato e documentato servizio di oggi, che invitiamo a riscontrare ed approfondire,  pubblicato  su “L’Osservatore Romano”, con il titolo “La riforma della Curia romana nell’ambito dei fondamenti del diritto nella Chiesa”. Un articolo firmato dal canadese Card. Marc Ouellet, dal 5 giungo u.s.  Prefetto del Dicastero per i Vescovi.

Ricordiamo tutti bene, così come sicuramente lo stesso Card. Marc Ouellet, la “lectio magistralis”  a suo tempo tenuta da Sua Eminenza il Card. Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, – (divenuto poi Benedetto XVI ed adesso papa emerito, o forse meglio dire “vescovo di Roma emerito”) – sulla Chiesa che non è una democrazia.

Nell’articolo di oggi  de “L’Osservatore Romano”, che invitiamo a leggere attentamente,  con molta franchezza, si fa subito notare che mentre “Molti si rallegrano per la tanto attesa conclusione della riforma,…. altri sollevano forti riserve….. La riserva di fondo … riguarda la decisione di integrare dei laici nel governo della Curia, cosa che significherebbe dirimere di fatto una controversia di lunghissima durata nella storia della Chiesa, ovvero se il potere di governo sia necessariamente o meno collegato al sacramento dell’Ordine….”.     Tutta una discussione approfondita  sui…“ rapporti tra la natura della Chiesa come istituzione divino-umana e le strutture di governo che le consentono di adempiere la sua missione a servizio della salvezza del mondo…..la natura della Chiesa è sacramentale;  questa è l’acquisizione fondamentale del Concilio Vaticano II….”.

Un altro passaggio fondamentale, a mio giudizio, sempre di quanto scrive il Card. OELLET   è che “Gli esperti di diritto canonico dibattono da secoli per comprendere quale sia l’origine di questa Sacra Potestas che determina la struttura gerarchica della Chiesa e la sua modalità di governo del popolo di Dio. Si tratta d’una volontà divina (immediata) inscritta nel sacramento dell’Ordine che fonda i poteri di santificare, insegnare e governare o si tratta piuttosto d’una determinazione della Chiesa (mediata) conferita al Successore di Pietro in virtù del suo mandato di pastore universale con la speciale assistenza dello Spirito Santo ?”.

Chiara, a mio giudizio,  l’indicazione per la seconda interpretazione.

Ma dopo tutto questo!,  non ritengo opportuno aggiungere altro … invitando caldamente a leggere e meditare quanto scritto oggi dall’Osservatore Romano.    Che, –  come è noto – è l’organo ufficiale della Santa Sede,  – ( che Papa Francesco, scherzando, chiama il giornale del suo Partito e lo legge ogni giorno) –  dove sta sempre scritto in alto, il monito di Gesù “Non pravalebunt”.    Cioè l’assicurazione da parte di Gesù  a  Pietro ed ai suoi successori di un’assistenza e  luce particolare,  perché  mai, personalmente, si allontani dalla vera fede,  e poi   perché  possa sempre confermare nella vera  fede i  fratelli.

Diego Acquisto

21-7-2022

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

22-7-2022—In coda al nostro articolo di cui sopra, accolginedo la richiesta di qualche amico,  pubblichiamo per intero, note comprese, il lungo articolo  de L’Osservatore Romano del 20 luglio 2022.- Sono nostre il neretto e le varie sottolineature……

********************

La riforma della Curia romana nell’ambito dei fondamenti del diritto nella Chiesa

La promulgazione della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium (1) ha confermato, dal punto di vista giuridico, le innovazioni già introdotte in precedenza da disposizioni pontificie nell’ottica della conversione missionaria della Chiesa. Essa è funzionale al grande progetto di riforma della Curia romana in corso da nove anni. Molti si rallegrano per la tanto attesa conclusione della riforma, ma altri sollevano forti riserve a seguito della presentazione pubblica del testo della Costituzione Apostolica che ha esplicitato i motivi di alcune scelte. La riserva di fondo che affiora, riguarda la decisione di integrare dei laici nel governo della Curia, cosa che significherebbe dirimere di fatto una controversia di lunghissima durata nella storia della Chiesa, ovvero se il potere di governo sia necessariamente o meno collegato al sacramento dell’Ordine(2).

La Costituzione assumerebbe implicitamente l’opzione di non considerare il sacramento dell’Ordine come l’origine del «potere di giurisdizione», ma di attribuirlo esclusivamente alla missio canonica attribuita dal Papa, che conferirebbe così una delega dei suoi propri poteri a chiunque eserciti una funzione di governo nella Curia romana, sia esso un cardinale, un vescovo, un diacono o un laico (3).

Alcuni giuristi fanno osservare come questa posizione rappresenti una rivoluzione copernicana nel governo della Chiesa, che non sarebbe in continuità o addirittura andrebbe contro lo sviluppo ecclesiologico del Concilio Vaticano II (4). Questo ha infatti messo a tema la sacramentalità dell’episcopato e la collegialità, senza tuttavia dirimere del tutto la questione dell’origine della «Sacra Potestas». Gli esperti di diritto canonico dibattono da secoli per comprendere quale sia l’origine di questa Sacra Potestas che determina la struttura gerarchica della Chiesa e la sua modalità di governo del popolo di Dio. Si tratta d’una volontà divina (immediata) inscritta nel sacramento dell’Ordine che fonda i poteri di santificare, insegnare e governare o si tratta piuttosto d’una determinazione della Chiesa (mediata) conferita al Successore di Pietro in virtù del suo mandato di pastore universale con la speciale assistenza dello Spirito Santo (5) ?

La storia fornisce elementi che possono essere interpretati a favore dell’una o dell’altra posizione. La tendenza a separare i poteri d’Ordine e di Giurisdizione si fonda su molte disposizioni pontificie del passato, che hanno avallato atti di governo senza potere d’Ordine, per esempio il governo di alcune Badesse dal Medioevo sino ai tempi moderni, alcuni vescovi che hanno governato diocesi senza essere ordinati, o ancora alcune licenze concesse dal Papa a semplici sacerdoti per ordinare altri preti senza essere vescovi ecc.; si potrebbe allungare l’elenco dei fatti che mostrano come il potere di governo non dipenda intrinsecamente dal potere d’Ordine, quanto piuttosto da un’altra fonte, che si identifica poi con la missio canonica conferita dal Papa.

La scuola canonistica di Eugenio Corecco e dei canonisti di Monaco, interpreta alcuni di questi fatti come casi limite o aberrazioni (Vescovo non ordinato!) e si sforza di dimostrare la lenta presa di coscienza da parte della Chiesa della natura sacramentale dell’episcopato e dei poteri ad esso connessi (Lumen Gentium, 21) (6). Di qui lo sforzo del Concilio Vaticano II di radicare esplicitamente i poteri di santificare, insegnare e governare nel potere d’Ordine, lasciando aperta alla discussione degli esperti la questione del fondamento della distinzione e dell’unità del potere d’Ordine e di Giurisdizione. La nuova Costituzione andrebbe forse oltre il canone 129 §2 che dice: «Nell’esercizio della medesima potestà (di giurisdizione), i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto»? Come conciliare gli accadimenti storici con l’attuale diritto, che riflette la nuova coscienza sacramentale della Chiesa? In senso più ampio come spiegare teologicamente il fondamento dell’unità di questi due poteri riconoscendone la distinzione e la complementarità operativa?

Se si seguono le tesi di E. Corecco, la posizione di Padre Ghirlanda e della scuola gesuitica sarebbe di tipo positivista e non integrerebbe i progressi del Concilio Vaticano II. Il Concilio avrebbe affermato l’unità della Sacra Potestas e quindi la radice sacramentale dei tria munera. Cosa aggiungerebbe allora la missio canonica al potere d’Ordine, se questo già contenesse il fondamento della giurisdizione? Il contributo di Klaus Mörsdorf, il grande maestro della scuola di Monaco, sta nell’aver sostenuto che il sacramento dell’Ordine già conferisce il fondamento dell’idoneità per i tria munera, anche se la missio canonica vi aggiungerà l’effettivo inserimento nel Collegio dei Vescovi mediante il simultaneo affidamento della responsabilità di una Chiesa particolare. Più di chiunque altro Mörsdorf ha riflettuto, studiato e pubblicato circa questa problematica che merita, secondo lui, una particolare attenzione per evitare derive scismatiche. Egli è attento a distinguere senza separare i due poteri, che sono uniti intrinsecamente nell’identità sacramentale del vescovo dedito ad una comunità particolare. Riconosce tuttavia che manca ancora una ricerca multidisciplinare, storica, dogmatica, sacramentale, canonica, per render conto del fondamento di questa sacra potestas molteplice e tuttavia unica (7).

Senza la pretesa di dirimere il dibattito canonico, che ha metodi e criteri suoi propri, mi interrogo tuttavia su alcune considerazioni pneumatologiche che potrebbero aiutare a sbloccare questa problematica alla luce di un’ecclesiologia trinitaria e sacramentale (8).

Osservazione preliminare: cerchiamo i fondamenti del Diritto nella Chiesa, cioè i principi della scienza dell’ordinamento giuridico che esiste o deve esistere a motivo della natura delle cose della fede. Le cose di cui qui si tratta sono i rapporti tra la natura della Chiesa come istituzione divino-umana e le strutture di governo che le consentono di adempiere la sua missione a servizio della salvezza del mondo.

Ora la natura della Chiesa è sacramentale, questa è l’acquisizione fondamentale del Concilio Vaticano II . Prima di essere una società giuridica immersa nelle culture di questo mondo, essa è un mistero di comunione, una comunità abitata e unificata dalla comunione delle Persone divine ( lg , i–iv ). I suoi rapporti giuridici interni sono radicati nella comunione trinitaria, che si dà in partecipazione in Cristo con la Parola e con i sacramenti, in particolare il Battesimo, l’Ordine e l’Eucaristia.

Secondo la sua natura sacramentale, la comunione ecclesiale comporta una dimensione gerarchica che corrisponde al mistero trinitario così come ci viene rivelato. Il Padre è la sorgente delle processioni trinitarie, l’una generatrice, l’altra coordinatrice della Communio, entrambe convergenti verso il Padre, l’Arché della Communio trinitaria che si rispecchia nella communio ecclesiale.

La dimensione gerarchica della comunione ecclesiale riflette di conseguenza la partecipazione all’identità del Padre e del Figlio che lo Spirito Santo apre ai membri della comunità mediante la fede e il battesimo, così come mediante il sacramento dell’Ordine e dell’Eucaristia.

Questo dono delle Persone divine ai membri del Corpo mistico di Cristo attraverso i sacramenti, fonda nuovi rapporti tra le persone umane, rapporti di comunione secondo un certo ordine che lo Spirito Santo garantisce in diversi modi secondo la propria personalità come Spirito del Padre e del Figlio. Egli conferisce così agli uni l’identità e l’atteggiamento filiale che appartiene al carattere e alla grazia del battesimo; conferisce ad alcuni altri l’identità e l’atteggiamento paterno che corrisponde al carattere e alla grazia del sacramento dell’Ordine (9). Il potere d’insegnare, santificare e governare dei ministri ordinati dispiega così le energie della grazia, cioè la potenza dello Spirito Santo, nei loro rapporti di autorità come servizio nei confronti del popolo di Dio nel suo insieme e in concreto, di fronte alla comunità di cui sono i ministri responsabili (10).

Ciò significa forse che il potere di governo deve dipendere necessariamente ed esclusivamente dal potere d’Ordine? La storia lo smentisce con i fatti. Come capire allora il principio sacramentale all’origine del potere di giurisdizione se non con la derivazione della missio canonica da un vescovo investito della pastoralità universale? Ciò che fonda l’unità inscindibile del potere d’Ordine e di giurisdizione è la figura del Successore di Pietro come Capo del Collegio dei vescovi, che detiene in comunione con loro la massima unità del potere d’Ordine e di giurisdizione e che può di conseguenza applicarne gli effetti a tutto campo in ambito sacramentale come in ambiti giuridici o amministrativi. Egli può anche delegare e così rendere partecipi i membri del popolo di Dio al suo potere di giurisdizione.

Coloro che tendono a separare i due poteri rafforzano la distinzione tra il sacramento e la missio canonica, dimenticando che l’Ordine aggrega al Collegio episcopale, il cui Capo possiede la giurisdizione suprema che si estende a tutti gli ambiti della vita della Chiesa. Ecco perché il potere di governo che viene riconosciuto alle Congregazioni di vita consacrata femminile e l’autorità in esse affermata, sono sempre formalmente confermati e accompagnati dall’autorità vescovile o pontificia e non sono dunque esercitati indipendentemente dal potere d’Ordine. In questo caso, l’autorità non è esercitata da un ministro ordinato, ma da una personalità carismatica che è riconosciuta come tale e collegata al ministero ordinato dalla struttura gerarchica della Chiesa.

Quanti tendono ad unire al massimo potere d’Ordine e di giurisdizione per ogni esercizio del potere di governo, rischiano di perpetuare l’immagine di una Chiesa clericale, favorendo così il clericalismo, a detrimento della dimensione carismatica della Chiesa ormai riconosciuta come co-essenziale, accanto al potere gerarchico e pur restando soggetta al suo discernimento (11). Ci troviamo ad una prima fase di questo riconoscimento, che il diritto canonico non ha ancora integrato e che deve avere delle conseguenze a seguito del progresso dottrinale ufficialmente riconosciuto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. A tal fine ritengo legittimo tracciare alcune linee di riflessione pneumatologica che potrebbero aiutare a rinnovare un modo di ragionare binario cui manca, a mio avviso, il fondamento trinitario (12).

Per esempio, pur conservando il principio dell’unità e della distinzione dei due poteri che sono inseparabili per l’esercizio del ministero ordinato in ogni suo grado, bisognerebbe riconoscere un potere di comunione autorevole come servizio, che non procede dal sacramento dell’Ordine in quanto tale, ma dalla libertà dello Spirito Santo. In altre parole, si dovrebbe riconoscere accanto ed in aggiunta al potere d’Ordine, l’autorità dei carismi che hanno un proprio peso nella comunione e missione della Chiesa. Enunciare questo principio significa prendere atto in modo più preciso che il Padre governa nel suo Disegno salvifico mediante le due missioni divine del Verbo e dello Spirito. Quest’altro potere di governo, carismatico, si esercita non solo in virtù dell’Autorità del Padre e del Figlio mediante il sacramento del Battesimo e dell’Ordine (Sacra Potestas), ma specificamente in virtù dell’Autorità dello Spirito. Questa non è mai del tutto indipendente dalla prima, poiché da essa procede, ma comporta nondimeno una propria identità, individuabile ecclesialmente, altrimenti si negherebbe implicitamente la Personalità propria dello Spirito Santo. Nella vita della Chiesa questa autorità propria dello Spirito si manifesta nella diversità e nell’unità dei carismi e non è svincolata dal ministero ordinato, poiché ne cerca il riconoscimento e la conferma; essa si esercita tuttavia in virtù del dono carismatico proprio, anche nel caso in cui la comunità carismatica sia diretta da un ministro ordinato. Questa linea di riflessione fa progredire la teologia della vita consacrata e la rende ad un tempo più forte a fronte delle prerogative riconosciute, ma limitate, del ministero ordinato. Quando si pensa a San Francesco d’Assisi o a Madre Teresa, si riconosce subito l’impronta di un dono dello Spirito che impone in qualche modo una linea di governo (13). Il potere di giurisdizione è in questo caso basato sul carisma, anche se è autenticato dal Papa o da un ministro ordinato. I grandi Ordini religiosi ad esempio si governano in base alla loro Regola, che istituzionalizza il carisma. Più fondamentalmente in questa materia, bisogna riflettere sul fatto che Paolo è stato scelto dal Signore Risorto al margine del gruppo dei dodici ed è stato dotato di carismi straordinari ma riconosciuti da loro per l’opera dell’evangelizzazione. Paolo è il simbolo della libertà dello Spirito nella Chiesa.

 

Come approfondire ulteriormente l’unità e la distinzione dei poteri d’Ordine e di giurisdizione sino al loro dispiegamento operativo? I canonisti operano in base a una tradizione fondata sul “diritto divino” proveniente dalla Rivelazione, applicato in certo parallelismo al diritto naturale o positivo interpretato a partire dalla cultura giuridica del diritto romano. Esso comporta dei condizionamenti storici e culturali nonché certe rigidità di fronte agli sviluppi teologici e carismatici. Per aprire nuovi orizzonti al diritto ecclesiale, un’altra linea di riflessione pneumatologica è la natura trinitaria della comunione ecclesiale e quindi la partecipazione dei fedeli di ogni categoria alle relazioni trinitarie, ciò che comporta certe conseguenze giuridiche che potrebbero esserne dedotte. Klaus Mörsdorf si avvicina a questa prospettiva quando distingue la «parola» e il «sacramento» (14), e cerca di spiegare la diversità funzionale dei due poteri per mezzo di due principi: il «principium generans» per il sacramento dell’Ordine e il «principium dirigens» per la missio canonica, che si completano e si confermano (15).  Egli non sembra tuttavia giungere alla distinzione delle missioni divine del Verbo e dello Spirito alla base di questi principi, che agiscono e sono coinvolti nell’ordine sacramentale e amministrativo della comunità ecclesiale per garantirne la crescita e l’unità.

Di fatto, l’autorità di Cristo quale rappresentante del Padre (Chi vede me vede il Padre)16, è comunicata alla Chiesa dal sacramento dell’Ordine, affinché mediante la Parola e i sacramenti i battezzati siano alimentati e rafforzati nella loro identità filiale; mentre il dono dello Spirito Santo assicura la comunione ecclesiale dei ministri e dei fedeli. Il buon ordine della «comunione» tra gli uni e gli altri è garantito dallo Spirito, che diffonde la carità nei cuori, perfezionando così le relazioni ecclesiali fondate sulle differenze strutturali e sacramentali tra gli uni e gli altri.

Il potere d’Ordine incarna l’autorità paterna di Cristo nella Chiesa, un’autorità che genera la vita sacramentale, strutturando così la comunità e rinviando tutti i suoi membri all’obbedienza al Padre, da cui prende il nome ogni paternità. Il potere di giurisdizione incarna l’autorità dello Spirito Santo, impegnata a promuovere l’ordine dell’amore nella Chiesa, che suppone la concreta realizzazione del comandamento dell’amore ma anche il diritto, la disciplina, la decisione e la correzione, un’Autorità che agisce con libertà ma secondo l’ordine stabilito dalla Parola incarnata, e che rimanda di per sé al Padre del Figlio unigenito che è la Sorgente di tutto il Progetto divino e della sua condotta sino alla pienezza del Regno.

Generare la vita eterna nelle anime da un lato, e dall’altro accompagnarla, proteggerla e farla fruttificare, sono lo spiegamento delle due missioni divine del Verbo e dello Spirito, che sono al fondamento, duplice ed unico, della Sacra Potestas. Questa implica che le Persone divine stesse si manifestino in soggetti ecclesiali provvisti di poteri specifici socialmente individuabili. L’efficacia salvifica di questa sacra potestà è sempre in primo luogo attribuibile all’Agente divino che agisce personalmente secondo una duplice modalità, cristologica e pneumatologica, come potere d’Ordine che dà e nutre la vita divina o come potere di giurisdizione che assicura l’ordine dell’Amore in tutte le dimensioni estremamente diversificate della comunione ecclesiale coinvolta nella storia umana. Di qui l’importanza del ministero di Pietro, capo del Collegio degli Apostoli, che possiede l’unità di questo duplice potere per l’unità della Chiesa secondo il carisma petrino; di qui anche l’autorità carismatica al servizio della comunione e della missione, sottomessa al discernimento dei vescovi e del Successore di Pietro, pur non procedendo direttamente dal ministero ordinato ma dalla libertà dello Spirito Santo (17). Così concludiamo con San Ireneo che nello sviluppo armonico della comunione missionaria della Chiesa, Cristo e lo Spirito sono “le due mani del Padre” (18).

Quanto al governo della Curia romana, non basta dire che la missione canonica affidata dal Santo Padre è sufficiente per fondare il potere di giurisdizione di ogni autorità esercitata nei dicasteri, sia la persona designata cardinale, vescovo, religioso-se o laico. Il Papa affida una missione a seguito del discernimento di un carisma o di una competenza che giustifica la sua scelta; l’autorità delegata dalla missio canonica viene a configurare giuridicamente il servizio del soggetto coinvolto di cui è messo a frutto il carisma personale e, secondo le competenze dei diversi dicasteri, non è indifferente che la persona coinvolta sia vescovo, prete, diacono o laico. Diversamente, si perpetuerebbe una mentalità giuridica che pone l’accento sulla sola delega di potere, senza tener conto della dimensione carismatica della Chiesa, cosa che andrebbe direttamente contro l’apertura a un autentico decentramento (19).

Alla luce di ciò, la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium può assai bene integrare nel governo della Chiesa laici, donne e religiosi e religiose, senza sconvolgere la sua struttura gerarchica, ma attualizzandola ed equilibrandola con l’aiuto della pneumatologia, per sfortuna troppo assente dalle controversie canoniche, mentre detiene la chiave di una riforma della Chiesa nell’ora e sotto il segno dei tempi della sinodalità. Si auspica quindi che le innovazioni in essa contenute possano trovare applicazione anche nel diritto universale (20). Occorreva senza dubbio un Pastore universale proveniente dal dominio carismatico della Chiesa per introdurre in modo discreto e pacifico questa riforma del governo ecclesiale, che non relativizza l’importanza della Sacra Potestas, ma la integra meglio nel quadro dell’ecclesiologia trinitaria e sacramentale del Concilio Vaticano II . Le riserve espresse e i dibattiti in corso dovrebbero consentire un approfondimento pneumatologico essenziale per la continuità e la creatività dell’autentica Tradizione ecclesiale.

Card. Marc Ouellet **Prefetto del Dicastero per i Vescovi

note

1 Francesco , Costituzione Apostolica “Praedicate Evangelium” sulla Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa nel Mondo, 19 marzo 2022.

2 Cfr. Associazione Teologica Italiana, a cura di Massimo Epis, Autorità e forme di potere nella Chiesa, Glossa, 2019; in particolare: Riccardo Battocchio, Note storiche e teologiche sul dibattito attorno alla distinzione fra potestas ordinis e potestas iurisdictionis, p. 125-154.

3 Cfr. G.F. Ghirlanda , La riforma della Curia Romana nell’ambito dei fondamenti del diritto della Chiesa, Periodica 106, (2017), 537-631.

4 Cfr. E. Corecco , Natura e struttura della «Sacra Potestas» nella dottrina e nel nuovo Codice di diritto canonico, https://www.eugeniocorecco.ch/scritti/scritti-scientifici/ius-et-communio/ius-et-communio-27/, 28 aprile 2022.

5 Cfr. G.F. Ghirlanda , La riforma della Curia Romana nell’ambito dei fondamenti del diritto della Chiesa, Periodica 106, (2017), 537-631.

6 «Oltre alla funzione di santificare, la consacrazione episcopale conferisce anche le funzioni di insegnare e governare, le quali però per loro natura non possono essere esercitate se non nella comunione gerarchica col capo e con le membra del collegio», LG 21.

7 Cfr. Bibliografia di Klaus Mörsdorf in E. Corecco , Natura e struttura della «Sacra Potestas» nella dottrina e nel nuovo Codice di diritto canonico, https://www.eugeniocorecco.ch/scritti/scritti-scientifici/ius-et-communio/ius-et-communio-27/, 28 aprile 2022. Nell’ambito francofono nella stessa direzione spicca la ricerca di L. Vuillemin, Pouvoir d’ordre et pouvoir de juridiction. Histoire théologique de leur distinction. Préface par P. Valdrini. Postface par H. Legrand (coll. Cogitatio fidei, 228), Paris, Cerf, 2003, 505p.; vedere la valutazione positiva di Alphonse Borras, Ordre et juridiction: les enjeux théologiques actuels de l’histoire d’une distinction. À propos d’un ouvrage récent. In: Revue théologique de Louvain, 35, 2004, 495-509.

8 Il Cardinale Rouco Varela apriva “nuove prospettive” in questo senso venti anni fa nel suo articolo: Theologische Grundlegung des Kirchenrechts-Neue Perspectiven, AfkKR 172 (2003) 23-37.

9 Cfr. Marc Ouellet , L’Esprit Saint et le sacerdoce du Christ dans l’Église, Symposium per una Teologia fondamentale del Sacerdozio, Vaticano 17-19 febbraio 2022. Atti in via di pubblicazione.

10 Giova ricordare che ci sono due partecipazioni distinte all’unico sacerdozio di Cristo: battesimale e ministeriale. Cfr. LG 10: «Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo».

11 Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede , Iuvenescit Ecclesiae, Lettera sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa, Roma 2016.

12 Concordo pienamente con l’impostazione di Dario Vitali nel suo studio neotestamentario “La ragione cristologica e pneumatologica dell’autorità nella Chiesa”: «La storia della salvezza avviene “per Cristo nello Spirito Santo”. Per questo bisogna lavorare per l’effettivo recupero della pneumatologia, come radice, ragione e principio dell’autorità nella Chiesa, accanto alla più conosciuta e consolidata radice e ragione cristologica», p. 90, in: Associazione Teologica Italiana, Autorità e forme di potere nella Chiesa, Glossa, 2019, 23-91.

13 Ovviamente importa il discernimento dei carismi da parte dell’Autorità gerarchica, giacché la libertà dello Spirito può essere mal interpretata e abusata, come accade spesso in gruppuscoli che si autoproclamano carismatici.

14 A. Cattaneo , La complementarietà di ordine e di giurisdizione nella dottrina di Klaus Mörsdorf, https://dadun.unav.edu/bitstream/10171/10209/1/ cdic _I_09, 28 aprile 2022, 403.

15 A. Cattaneo , La complementarietà di ordine e di giurisdizione nella dottrina di Klaus Mörsdorf, https://dadun.unav.edu/bitstream/10171/10209/1/ cdic _I_09, 28 aprile 2022, 401ss.

16 Gv 14, 9.

17 Le riserve per integrare una prospettiva carismatica in ambito cattolico, provengono dall’influsso delle ecclesiologie protestanti che oppongono lo Spirito e l’Istituzione come due realtà estranee, una celeste e l’altra mondana. Cfr. Hans Kung, Die Kirche (Freiburg-Basel-Wien 1967) che assume troppo il loro modello; vedere l’analisi critica di Sua Eminenza Cardinale Antonio Rouco Varela, Carismas istitucionales y personales, Universidad San Damaso Subsidia canonica 28, 20p, 13-16. Le aperture conclusive del Porporato sui carismi rimangono tuttavia assai restrittive.

18 Ireneo di Lione, Adversus Haereses, iv, 20, 1.

19 Un’altra via di ricerca del decentramento sulla scia di H. Legrand e L. Vuillemin, mette l’accento sul legame sacramentale tra il vescovo e la Chiesa locale: «Le sacrement, en l’occurrence l’ordination, est lui-même producteur de droit du fait qu’il instaure un lien indissociablement spirituel et juridique entre l’évêque et son Église» (Alphonse Borras, Op. cit., 497).

20 Sommessamente si potrebbe ipotizzare una riformulazione del can. 129 in questi termini: Can. 129. È abile alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, un ministro ordinato e qualsiasi fedele battezzato, al quale l’autorità della Chiesa riconosca un carisma utile ad edificare il Regno di Dio.

di Marc Ouellet *

Vaticano

Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More