Vivace e stimolante la relazione di don Vito Impellizzeri all’Assemblea Diocesana nella cattedrale di Agrigento

In margine all’Assemblea Diocesana che si è svolta in Cattedrale. Un’Assemblea quella di ieri pomeriggio che ha registrato una larga partecipazione di laici,  di consacrati e di ordinati, cioè presbiteri e diaconi.  Un’Assemblea appositamente  convocata  nel luogo più adatto, cioè la Cattedrale di S. Gerlando da poco ritornata fruibile dopo anni di forzata chiusura, per dare a tutti, data anche la sua straordinaria ampiezza, la possibilità di potere rivivere la gioia dello stare assieme nella preghiera e nell’ascolto,  e così potere rafforzare i vincoli di comunione che ci uniscono nell’unica Chiesa, servita dal suo amato Pastore don Franco Montenegro.

Nella parte finale dell’anno  2018-2019, sul tema chiave dell’anno pastorale che quest’anno aveva come idea centrale quello di Amare la Comunità”, è stato invitato a relazionare  ancora una volta,  il “pantesco”,  perché originario di Pantelleria, don Vito Impellizzeri, della diocesi di Mazara, impegnato nel mondo della Comunicazione, della Cultura e della Nuova Evangelizzazione, nonché nella docenza nella Pontificia Facoltà Teologica di  Sicilia.

Il quale così come nell’assemblea del novembre 2017 al Pala-Moncada  di Porto Empedocle, allora sul tema dei poveri e delle sofferenze del territorio, non ha mancato di  polarizzare l’attenzione del numeroso uditorio, che alla fine lo ha lungamente applaudito, per le sue salutari provocazioni sul modo di essere e di vivere come Chiesa, a tutti i livelli, senza risparmiare certi modi di porsi della struttura gerarchica, vescovi compresi,  che talvolta anche loro restano sordi alle stesse sollecitazioni di Papa Francesco.

Come – ha detto – essere avvenuto al V Convegno Nazionale di  Firenze del novembre 2015, sul tema di un nuovo umanesimo, quando Papa Francesco nel suo discorso ha più volte ripetuto che i Vescovi devono stare in mezzo al popolo; ed in quel caso il gesto che si aspettava e che qualcuno aveva suggerito  doveva essere quello visibile,  che i vescovi in quel momento  lasciassero il posto riservato che occupavano per trasferirsi in mezzo alla loro gente. Cosa non avvenuta.

E non sono mancati altre salutari provocazioni sicuramente non di routine per riflettere come  vivere il proprio ruolo nella Chiesa, da pietre davvero vive e responsabili.  Un monito per esempio ai predicatori che spesso cadono nella trappola dell’abitudine di dire cose che vanno bene per tutti, e che poi in pratica non significano niente per nessuno, anche se momentaneamente quelle  parole hanno accarezzato l’orecchio ma non sono andate al cuore ed alla mente per una revisione di vita.

Essere Chiesa e Comunità significa vivere un corresponsabilità condivisa, sofferta, in cui cresce il desiderio di stare insieme, di entrare in comunione, di rinnovarsi condividendo il pensiero di Gesù,  da trasmettere ai figli. Come  genitori scambiarsi esperienze sul modo come trasmettere la fede, educando i figli ad andare e vivere la Messa.  Non solo ascolto di Vangelo, ma ascolto di vita; perché  non si impara ad ascoltare il Vangelo, se non ci ascoltiamo fra di noi, in una Comunità che respira la vita, nella grazia, nella legalità.

In questo senso i buoni operatori pastorali non sono quelli – come abitualmente si giudica – che sanno trovare il tempo libero per dedicarsi alle cose di Chiesa, ma coloro che magari  oltre a quello, soprattutto vivono e respirano con la vita della  gente del territorio, caricandosi dei problemi e delle difficoltà,  con la fede nel Risorto.

E sarebbe tropo lungo riferire di altri passaggi, di una relazione dal respiro lungo, dall’ottica non miope e chiusa, per il superamento di ogni formalismo comunque   camuffato, anche all’interno dei  sacri palazzi curiali, dove, come in  un’azienda, vicari e consultori, talvolta prendono decisioni in nome di Dio. Decisioni  che poi cadono sulle teste delle Comunità fatte di persone concrete, anche di quelle che fanno parte dei cosiddetti organismi collegiali di corresponsabilità, per nulla interpellati in decisioni che toccano la vita concreta, come i trasferimenti dei presbiteri.

Come si vede, don Vito non è andato per il sottile, e perciò forse più di uno  è rimasto salutarmente  scosso e turbato. Tra questi, pare,  lo stesso vicario per la pastorale, don Giuseppe Agrò, che con franchezza, ha detto che c’è stato qualche momento in cui ha avuto in mente di abbandonare l’assemblea, non mettendo in pratica però questo pensiero, perché ha compreso il senso generale del discorso, in cui, tra l’altro,  non mancavano cenni sull’utilità delle mansioni curiali di servizio,  pur nella  necessità di superare ogni forma di burocraticismo formalistico che sempre insidia il lavoro a tavolino, che stacca  dalla vita concreta.

Ed il Vangelo invece,  è sempre vita concreta,  ed unicamente alla vita concreta  è finalizzato.

In questo senso ha sicuramente lasciato il segno l’omelia di don Franco durante la Messa che è seguita alla relazione di don Impellizeri. Un’omelia  tutta centrata sul tema di come essere Comunità cristiana  autentica, mettendo in guardia da tutti i possibili inquinamenti . Un’omelia che si spera possa essere pubblicata per intero per essere ancora oggetto di seria riflessione e meditazione, non solo da parte dei tantissimi presenti che già l’hanno ascoltata, ma   anche da parte  di quei  fedeli che all’Assemblea non hanno potuto partecipare.

Una sfida  impegnativa ma affascinante quella di ripensare e riflettere sulla Comunità, che vive di comunione per la missione,  mettendo in conto fragilità e difficoltà,  nel suo lento e magari accidentato cammino.

Diego Acquisto

9-maggio- 2019

 

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